TABOR: un monte di Luce

 

Percorriamo una  veloce superstrada che ci conduce fuori da Nazareth, in un  panorama mozzafiato tra le colline della Galilea. Giù in basso, la verde pianura è interrotta a tratti dal marrone della terra appena arata. Ben presto però lasciamo la strada principale per Iksaal.  Adesso la vegetazione cambia, lasciando il posto a querce e ulivi e ogni tanto qualche cartellone pubblicitario con scritte in arabo, ci accompagna  fino a  Daburiyya, un paese molto più grande del precedente e costruito in collina. Dei bambini giocano per strada, avranno 5-6 anni e costringono l’autista dell’autopullman ad andare molto piano. Si passa  vicino ad un minareto che con la sua severità sovrasta il paese, per arrivare ad un grande parcheggio dove una fila di autopullman sostano in attesa che tornino i pellegrini dalla visita alla basilica della Trasfigurazione. Siamo alle pendici del Monte Tabor.

In questo parcheggio, attrezzato con un bar, un negozio di souvenir e i servizi igienici, pazientemente ognuno attende  il proprio turno per salire sulla montagna.

La strada è molto stretta e gli unici mezzi per salire sono dei minivan da 9 posti, che fanno continuamente la spola tra il parcheggio e la sommità del monte.

Dopo circa una mezz’ora di attesa è il nostro turno e finalmente si sale in un percorso tortuoso di curve e tornanti. L’autista ci fa scendere dal minivan  vicino ad un  cancello.  E’ aperto e  davanti a noi ecco la basilica. Percorriamo un breve vialetto, con un muricciolo a destra e a sinistra delimitante un  giardino di piante grasse. La chiesa è’ una costruzione imponente di  pietra chiara con due grossi campanili, che terminano entrambi con finestre a bifore. La facciata con tetto a capanna racchiude alla sommità una trifora. Lateralmente appena entrati due cappelle: una  intitolata ad Elia e una  a Mosè . All’interno di esse delle pitture con scene dei Profeti. Difronte a noi una larga scala scende in una cripta luminosa con al centro un altare.

All’esterno, sul piazzale,  si aprono delle grotte allestite con altari per le celebrazioni eucaristiche. A fianco della basilica, una stretta scala di pietra sale su una terrazza da cui è possibile vedere tutta la vallata sottostante. La vista è spettacolare e lontano oltre la grande pianura si intravede il lago di Tiberiade.

Ecco, in questo contesto si è immersi nella luce e nella pace del luogo. Qui in qualche punto di questa collina, Gesù si è trasfigurato davanti ai suoi discepoli e la sua luce e il suo amore  è stato  donato  alla chiesa universale.  Su questa  montagna, nel silenzio a volte interrotto da un alito di vento, viene spontanea una meditazione su noi stessi,  e su chi siamo. Signore, cosa mi chiedi ?  La tua trasfigurazione è forse un richiamo per la nostra poca fede ? Quante volte  mi hai parlato ed io non ti ho ascoltato ? Ecco su questa cima ti sei fatto luce, per illuminare le nostre coscienze e per darci la speranza della futura resurrezione “ chi crede in me non morirà in eterno”

Grazie.

Si scende dal Tabor, immergendoci  nuovamente  nelle cose della vita di tutti i giorni, ma  fortificati e consapevoli  che nelle giornate buie del nostro cammino, la Sua Luce e  il Suo Amore non verranno mai meno.

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Lourdes, l’abbraccio di Maria

lourdes

“Io sono l’Immacolata Concezione” con queste parole la piccola Bernadette di soli 12 anni, quasi del tutto analfabeta, si presentò alla porta del parroco l’abate Peyramale di una piccola e quasi insignificante cittadina ai piedi dei Pirenei il 25 marzo del 1858: Lourdes.

Immaginatevi lo stupore del parroco a quelle parole dette da Bernadette, chi gliele ha dette? come fa una ragazzina che neppure sapeva scrivere ad aver  pronunciato una verità teologica così profonda, un dogma di fede che solo il Papa 4 anni prima aveva dichiarato? Oggi diremmo internet, la stampa, la televisione, i mass –media. Ma a quel tempo non c’era neppure il telefono, scoperto solo nel 1871. Ma allora a Bernadette chi aveva rivelato ciò se non la diretta interessata e cioè Maria? Ma chi è “Quella là” che chiede penitenza, penitenza, penitenza?  E perché chiede processioni? e perché dice ai preti di costruirle una cappella? Quante domande si poneva il povero abate…

Ma allora alla grotta di Massabielle quel giorno dell’ 11 febbraio del 1858 veramente la Madre di Dio è scesa sulla terra?  Si, era tutto vero, quel giorno si sono aperte le porte del cielo e Maria è scesa sulla terra, scegliendo un’ignorante analfabeta per compiere la sua missione!!

E’ da poco passato l’illuminismo e il periodo della restaurazione è ai suoi albori. In tutta Europa e in particolar modo in Francia si erano creati dei moti rivoluzionari e si stavano affermando le nuove idee di libertà e nazionalità. In questo periodo sorsero Il liberismo e il socialismo, l’autoritarismo e il liberalismo, il nazionalismo e il radicalismo, tutti movimenti che nulla avevano a che fare con la fede religiosa. Quell’inverno per Lourdes fu particolarmente difficile: carestia, disoccupazione, epidemie avevano fatto le loro vittime. Anche la famiglia di Bernadette, i Soubirous, da mugnai benestanti si ritrovarono ben presto a dover dormire in una ex prigione (Cachot), dico ex prigione, perché era talmente malsana l’aria di questo luogo che il carcere con i detenuti era stato spostato altrove.

Sono passati ormai oltre 150 anni da quel giorno e di cose a Lourdes ne sono cambiate molte. Si sono costruiti alberghi, (oggi è  dopo Parigi è la città di Francia con il più alto numero di alloggi), negozi, ecc…

Ma lo spirito che si respira a Lourdes è sempre lo stesso.

Quando si arriva, dalla strada principale non sono visibili né la Grotta, né le basiliche perché si trovano ad un livello stradale più basso. Ma quando si varca il cancello principale eccole finalmente: la basilica del Rosario, la più bassa, sovrastata dalla basilica superiore e a sua volta sovrastata dalla cripta. Dall’alto due rampe scendono fino al piazzale principale e con un abbraccio accolgono tutti i pellegrini. A me piace pensare che siano le braccia di Maria stessa che ti stringono in un abbraccio materno.abbraccio

Quando sei a Lourdes all’interno del recinto, non pensi più a nulla.

Sei solo tu con la tua Mamma celeste, che è sempre pronta a raccogliere le tue richieste, le tue tristezze, le tue povertà, le tue infermità. Lei è li che ti aspetta alla Grotta e come solo una madre sa fare ti ascolta, ti conforta e teneramente ti abbraccia con quella tenerezza che ha solo una madre ha.

I malati, parte importante di questo luogo sono le persone predilette da Maria e quando vedi bambini, giovani, vecchi in carrozzella o in lettiga, anche se sei consapevole che per molti di loro Lourdes rappresenta “l’ultima spiaggia” non sei sovrastato dalla pietà perché nei loro sguardi vedi il miracolo della pace e della serenità.

Una volta, parlando con un santo sacerdote, gli dissi che stavo per partire per Lourdes e dato che si trovava molto malato, gli annunciai che avrei pregato per lui. Ma egli di rimando mi disse che pregassi non per lui ma perché riuscissi a capire la sua sofferenza. E’ vero a Lourdes ti si apre il cuore e comprendi che la sofferenza di questi malati è a riscatto anche dei miei peccati.

La giornata del pellegrino, inizia con la S. Messa alla Grotta la mattina presto, quindi c’è tempo per bagnarsi alle piscine(che sono poi delle vasche in pietra) dove scorre l’acqua della fonte che la Vergine fece scavare a S. Bernadette, poi  la via Crucis con statue di bronzo, a seguire la processione del Santissimo e la benedizione degli ammalati e a sera la processione con le fiaccole. La giornata molto spesso si chiude con un ultimo rosario recitato sulle rive del Gave, il fiume che lambisce la S. Grotta.

Generalmente un pellegrinaggio dura circa 4-5 giorni, ma quando si parte per il viaggio di ritorno, facendo l’ultimo saluto alla Madonna, la felicità che porti dentro ti segue tutto l’anno.

Chi si ferma è perduto….o è preso a sassate!

Erano le 4 a Medjugorje, e quella si preannunciava essere una bella mattinata d’agosto.
Era fresco, forse uno degli unici momenti freschi della giornata, e con una buona parte del gruppo decidemmo di salire il Krizevac, il monte che sovrasta la cittadina.
medj2Con allegria e spensieratezza iniziammo il percorso quando, bloccato alla prima stazione della Via Crucis, vedemmo un gruppo che all’apparenza sembrava come il nostro.
Si erano forse persi? Stavano aspettando qualcuno? Si era creata una coda per la troppa gente?
No, tre dei loro componenti erano in preda ad una possessione demoniaca.
Urla, grida, bestemmie…
Vi dirò, lo spettacolo non fu affatto piacevole, e appena potemmo cogliere l’occasione, “sorpassammo lestamente” quel gruppo.
Ad essere sincero, e qui posso dirlo, scappammo a gambe levate.
Da giovane ero solito scalare, ma mai nella mia vita ricordo di essere riuscito a salire un monte così velocemente come quella volta.

Non potevo sapere che il peggio doveva ancora venire.

La sera dopo cena decidemmo di andare a fare un Rosario alla croce blu, e ancora oggi mi chiedo come fosse possibile aver scelto la peggior alternativa tra tutte.
Perché alla fine, decidere di passare dalla strada più volte battuta e ormai conosciuta non ha alcun senso, quando puoi perderti tra i campi di Medjugorje, no?
Con animo gioioso e armati di torcia, passammo quindi per i campi, ridendo e scherzando accompagnati da una piacevole brezza estiva.
Ecco però un grido provenire dalla parte finale del gruppo: “Pierluigi, mi hanno colpito con un sasso!” urlarono.
Lì per lì non ci diedi troppo peso, in fin dei conti poteva essere stato uno di noi ad averlo involontariamente sollevato con un piede.
Li esortai a continuare a camminare perché “lì in fondo c’era sicuramente la croce blu”.
Ad un certo punto mi fermai, avevo tre strade davanti…dove andare? Ci eravamo persi?
Iniziammo a discutere tra di noi, quando una pioggia di sassi inizio a colpirci: chi alle gambe, chi alla schiena e chi sulle braccia.
Immaginate la scena. Una decina di persone nel buio più completo, nei campi più sperduti, che venivano colpiti ripetutamente da sassi provenienti da chissà dove.

“E’ il diavolo!”, urlò qualcuno.

Ci guardammo per una frazione di secondo, per poi iniziare a correre come se non ci fosse un domani, spaventati ed agitati.

Due volte nella stessa giornata, era un record.

Quella sera finimmo tutti al un bar, era l’unica possibilità per riprenderci da un’esperienza così traumatica. Solo a mattina venimmo a sapere che erano stati dei ragazzi, nascosti tra i vigneti, a lanciarci quei piccoli sassi.

E voi, come vi saresti comportati?

Fatima, la luce sul mondo.

13 maggio del 1917. Era la domenica precedente l’Ascensione e tre piccoli pastori di 10, 9 e 7 anni dopo aver partecipato alla S. Messa, andarono a pascolare il gregge in una radura chiamata “Cova de Iria”. Era una grande radura di terra disconnessa con qualche piccolo leccio. Fu su uno di quei lecci che, dopo un lampo improvvmadonna fatimaiso, apparve una signora rivestita di luce. I ragazzi ne ebbero timore ma la bella signora disse: “non abbiate paura, sono del cielo”.

A Fatima, tutto iniziò così.

A Lucia, Giacinta e Francesco la Vergine apparve ogni 13 del mese da Maggio ad Ottobre, chiedendo ai ragazzini penitenza per i “poveri peccatori” e lasciando loro tre segreti.

Oggi Fatima conta circa 12 mila anime ed è un paesino ubicato nel comune di Ourem nel cuore del Portogallo. Non esistono nè ferrovia né tantomeno un aeroporto. Vi starete chiedendo come si arriva in questa piccola oasi sperduta della valle portoghese. Ebbene, la cittadina dista solo 120 kilometri da Lisbona percorribili tramite pullman di linea. Il percorso, a differenza di quello che porta a Medjugorje, è lineare. Appena usciti dall’autostrada, ci accolgono loro Lucia, Giacinta e Francesco che, come delle guide, ci indicano il cammino.

Ed ecco Fatima!

Si apre subito davanti ai nostri occhi la Cova de Iria: quello che al tempo delle apparizioni era una pietraia disconnessa, oggi è una grande piazza in cui svetta nella parte alta la Basilica. A sinistra del piazzale la Cappellina delle Apparizioni: una minuscola cappella avvolta in una struttura di vetro che racchiude la statua della Vergine.

Certamente oggi Fatima si presenta al pellegrino in una veste ben diversa da come era al tempo dei pastorelli: moderni alberghi e negozi, che in maniera molto discreta, fanno da contrappunto alla spianata di Cova de Iria.Ma se qualcuno volesse rendersi conto di come fosse la zona al tempo delle apparizioni, è sufficiente percorrere il sentiero che si sviluppa dalla Rotonda Sud verso Valinos, Cabeco e Aljustrel, e perdersi tra i terreni incolti, i lecci e l’eucalipto che qua cresce rigoglioso. È qui che il pellegrino può percorrere la Via Crucis e ritrovare sé stesso.

Su Fatima sono stati scritti fiumi di inchiostro e sui segreti che la Vergine ha rivelato ai tre pastorelli si sono spese parole all’infinito; in special modo sul famoso terzo segreto.

E allora perché andare a Fatima?

Perchè è il luogo in cui si possono chiedere delle grazie, in cui il pellegrino rafforza la fede e si immerge in quella profonda e personale preghiera che solo il credente può comprende.

Ma soprattutto, perché Fatima è il luogo in cui il pellegrino si ferma e dice “Grazie”.

Medjugorje…terra di pace o di sassi?

La guerra dei Balcani era appena terminata quando mi venne chiesto di organizzare un medjpellegrinaggio a Medjugorje, con un po’ di timore, per la logistica del viaggio e per quello che avrei trovato arrivato là, decisi di viaggiare in nave da Ancona a Spalato imbarcando il bus che poi ci avrebbe portato attraverso i monti a destinazione.
La traversata, di notte, in comode cabine, quella per l’accompagnatore, la migliore ovviamente, direttamente posizionata sopra i motori, mi vide insonne e trepidante, ansia? Paura? Viaggio verso l’ignoto? No, i motori a tratti asmatici, a tratti martellanti sconquassavano la cabina facendo cigolare i mobili e impedendo il sonno….ma alla mattina ecco Spalato….bella, vacanziera con le palme (che fanno sempre croisette..), nobildonna con il palazzo (di Diocleziano…293 D.C.), imponente e, dietro nelle viuzze tutto il resto di un’architettura che racconta dei popoli che via via hanno dominato l’Adriatico…ma la nostra meta era Medgiugorje…
Si fa dogana e poi via per strade di montagna, piccoli paesi con le case mitragliate (Io sono nato negli anni ’50, non le avevo mai viste….) il filo bianco e rosso a delimitare i campi, ma non erano i soliti lavori stradali interminabili all’italiana…erano le “recinzioni” dei campi minati…piccole chiese aperte come carciofi da qualche bomba, minareti mozzati…. Ma più sconvolgenti di tutto… i volti delle persone, ancora attoniti, sopravvissuti a una guerra assurda, osservavano questi dell’occidente che dopo aver combattuto in qualche modo nella loro guerra, adesso si fiondavano a frotte con i bus, i preti e i rosari per andare dove? Verso un paese neppure segnato sulle carte stradali, chissà cosa pensavano di noi…
In questo contesto, curva dopo curva, sasso dopo sasso ecco Medjugorje. Dovete sapere che in bosniaco il termine “Medjugorje” significa “paese tra i monti”, e una volta lì capii subito il perché i suoi abitanti la chiamavano così: montagne, montagne ovunque.
La prima cosa che mi saltò all’occhio dopo l’ultima curva fu la chiesa di San Giacomo o Santuario della Regina della Pace. Una chiesa troppo grande per il numero di abitanti, ma troppo piccola per la quantità di pellegrini che da ogni parte della terra accorrono in questo luogo alla ricerca della pace. E tutt’intorno? Beh, a parte qualche casa e qualche pensione tutto ciò che si notava era la distesa enorme di sassi. Sassi, sassi, solo sassi.
Ma cominciamo il nostro viaggio, partiamo dal Podboro o collina delle apparizioni. All’apparenza è un’enorme pietraia la cui salita è resa difficile dalle pietre lisce ed instabili; qua e là, lungo la salita, notiamo delle formelle di bronzo raffiguranti i misteri del rosario. Sulla cima la statua di marmo della Vergine Maria indica il punto in cui i 6 veggenti vedevano regolarmente la Madonna. Poco sotto, dall’altro versante del monte, troviamo una croce blu anch’essa simbolo delle apparizioni.
Per finire il Krizevac, sulla cui sommità nel 1933 venne posizionata una croce per ricordare i 1900 anni dalla crocifissione. Lungo il percorso sono state posizionate le stazioni della via crucis.

Questa è Medjugorje, come potete immaginare è un paesino modesto. Ma quello che colpisce il pellegrino, dopo quell’ultima ed estenuante curva, è la grande fede e la pace che sprigiona questa cittadina. Qui un fedele cura lo spirito, il cuore ritrova Dio e l’uomo ritrova la sua dimensione e il suo valore nel mondo. Qui, la presenza di Maria si sente ed palpabile in ogni cosa.
A Medjugorje vai se sei chiamato e quando torni a casa non vedi l’ora di poterci tornare.