Cafarnao, le pietre raccontano.

 

 

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Ed eccoci a Cafarnao, la città di Gesù situata sulla sponda israeliana del lago di Tiberiade.

La cittadina, ai tempi di Gesù non aveva neppure un nome, infatti era considerata un semplice villaggio di frontiera il cui nome ebraico Kefar-Nahum significava “villaggio della consolazione”.  Qualcuno lo ha anche identificato come villaggio di grande confusione e non poteva essere altrimenti, visto che si trovava in punto strategico della Via Maris, via di grande comunicazione tra l’Egitto, l’Anatolia e la Mesopotamia.

In questo luogo di frontiera, Gesù scelse i dodici apostoli, insegnò alla sinagoga, compì miracoli e convertì pagani.

Ad accoglierci il convento dei francescani, una tozza costruzione di pietre a fasce bianche e nere posta sulla destra dell’ingresso degli scavi archeologici.

Superati i tornelli, ci troviamo immersi negli scavi archeologici di questa città; gli scavi, molto ben conservati, sono all’interno di un parco con alberi di alto fusto come cipressi, frondosi ficus le cui radici affiorano sul terreno, pini, palme e agave.

Ma ecco, tra le rovine, la casa di Pietro.

Era una tipica abitazione, quasi quadrata con un’unica porta di ingresso il cui stipite conserva ancora le tracce dei battenti che venivano chiusi dall’interno. Era costituita da diversi ambienti e come spesso avveniva, poteva ospitare diverse famiglie; quindi oltre alla famiglia di Pietro e di sua suocera, anche quella di suo fratello Andrea.

Tutte abitazioni della città avevano in comune il cortile il cui pavimento era composto da terra battuta.  Spesso il luogo era ombreggiato da tettoie ricoperte di paglia, e c’era il forno per la cottura del pane. Alla vista del pavimento, non può non tornarmi in mente la parabola in cui Gesù parla della Dramma (moneta) smarrita da una donna, la quale per ritrovarla prende la lucerna e spazza il pavimento attentamente fino a quando non la ritrova. Tutta la giornata o quasi tutta veniva trascorsa in questi cortili.

In mezzo agli scavi, si erge sostenuta da otto possenti e basse colonne di cemento armato, una chiesa moderna, che per come è stata costruita, ricorda una nave spaziale. Una breve rampa di scale porta all’interno della chiesa, ma appena entrati spicca nel mezzo davanti all’altare una recinzione posta tutt’attorno al pavimento di vetro un “oculos”, dal quale è possibile vedere i resti dall’alto.

Sto guardando la casa da quello che era il tetto e subito mi viene in mente il brano evangelico in cui si parla di come il paralitico nel suo “lettuccio” venne calato dal tetto per poterlo portare davanti a Gesù e di come Lui compì il miracolo della sua guarigione.

Anch’io spiritualmente mi sto calando nella casa di Pietro ed anch’io come il paralitico sto chiedendo la grazia della conversione.

A pochi metri dalla casa di Pietro, si erge la Sinagoga o meglio quello che resta della vecchia costruzione.

Vi assicuro che l’emozione nel calpestare il pavimento di quel luogo dove Gesù ha parlato è molto forte.

Dalle poche mura rimaste in piedi riecheggia la voce di Gesù che racconta la parabola del figliol prodigo che torna dal Padre dopo aver sperperato i suoi averi. Ecco anch’io oggi in questo luogo mi sento un po’ come quel figlio che tornando chiede perdono per essermi allontanato dalla sua grazia.

La brezza del vicino lago mitiga il caldo, mentre per la gioia che provo mi prende un nodo alla gola.

Gesù è presente, sento la Sua vicinanza, la sua grazia ed il suo amore paterno mi avvolgono in un abbraccio filiale.

CANA L’AMORE…..DIVINO

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Oggi vorrei parlarvi di un piccolo borgo situato a soli sette chilometri da Nazareth: Cana di Galilea.

Lasciato il pullman sulla via principale, una stretta stradina lastricata, leggermente in salita con pietre ormai rese lisce dal passaggio dei numerosi pellegrini che nei secoli le hanno calpestate, si arriva al Santuario dove si ricorda il Miracolo delle Nozze di Cana. Due file di case basse costeggiano la strada, interrotte ogni tanto da qualche negozio di souvenir. Alcuni uomini sono seduti fuori dai locali a conversare tra loro; sono mussulmani, li riconosco dalle lunghe tuniche  e dal tipico copricapo. Non sono più tanto giovani, la barba bianca e le profonde rughe del viso segnano il tempo trascorso.

Poco più avanti un altro uomo ( ma le donne dove sono ? ) sgrana tra le dita il Tasbeek, una specie di rosario mussulmano, di color ambra.

Ma ecco il Santuario del Miracolo delle Nozze di Cana. È una chiesa molto semplice: la facciata è caratterizzata da due campanili non molto alti, uno a destra e uno a sinistra, che sembrano vigilare sui pellegrini che si avvicinano, in alto campeggia la croce di Gerusalemme e lo stemma dei francescani, e in basso un breve porticato ci introduce all’ingresso.

Entriamo e subito il raccoglimento, il silenzio, la semplicità e la grandezza del luogo abbracciano il pellegrino. In fondo, sull’altare maggiore ci sono sei anfore in cotto, tre a destra e tre a sinistra del Tabernacolo. Da una porta, alcuni gradini portano in una cripta dove gli archeologi hanno  trovato delle giare in pietra. Queste “giare” , ricavate da blocchi di pietra potevano contenere fino a 500 litri di acqua e servivano per le abluzioni dei giudei. Tutto in quel luogo riporta alla descrizione del miracolo che Gesù compì quel giorno e che viene narrato nei Vangeli.

A Cana normalmente le coppie rinnovano le promesse matrimoniali ed è qui che ho capito il significato delle parole che pronunciai il giorno del mio matrimonio: come Gesù, Maria e i discepoli sono stati invitati alle nozze a Cana, anche nel nostro matrimonio cristiano, Essi sono stati invitati e li abbiamo resi partecipi della festa e della nostra gioia. E se, durante la vita matrimoniale, dovesse mancare il “vino”, beh state pur certi che Maria, sempre attenta alle necessità dei suoi figli, lo farà presente a Gesù il quale provvederà al problema come fece quel giorno a Cana.

In questo luogo tutto parla di alleanza, fedeltà, in una parola….. di  amore

È tempo di riprendere il cammino, ma prima sostiamo nel negozio di fronte alla chiesa per assaggiare il vino resinato, tipico del luogo.

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Terra Santa: prima puntata – L’ARRIVO

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Oggi,vorrei raccontarvi di Israele, ma talmente tante sono le cose da dire che percorreremo insieme questo viaggio in più “puntate”. Iniziamo  con Tel Aviv.

Dopo mesi di attesa per organizzare il viaggio e raccogliere le iscrizioni, finalmente si parte da Milano Malpensa con destinazione…. Israele!!! Ogni volta che prendo l’aereo, scelgo sempre un posto al finestrino perché dall’alto cerco di capire nelle giornate terse da nubi ed aiutato dai contorni del territorio, dalla forma di un lago o talvolta dal profilo di una costa,  che cosa l’aereo stia sorvolando. Riconosco bene il Po, il lago di Bolsena, poi forse la costa della Puglia, quell’isola fatta come una C rovesciata potrebbe essere Santorini e poi…mare, mare, mare.

Ecco però che si intravede dalla foschia una striscia di terra e la hostess annuncia che il pilota sta facendo le operazioni di avvicinamento. E’ la costa di Israele, della Terra Santa, della terra promessa ed improvvisamente non vedi l’ora di arrivare, ti batte il cuore e pensi “ecco la terra che fu dei patriarchi, di Abramo, di Giacobbe, dei profeti, di Gesù, di  Giuseppe…di Maria”.

Dopo un largo giro verso est, credo per evitare il passaggio sopra la striscia di Gaza, l’aereo sorvola a bassa quota Tel Aviv, per atterrare nel nuovo aereoporto intitolato a Ben Gurion, padre fondatore dello stato di Israele.

Si esce dall’aereo con il “finger” ed un lungo ed ampio corridoio con enormi vetrate porta i passeggeri di tutti i voli in arrivo al controllo passaporti eseguito da inespressivi funzionari che ti chiedono la durata della permanenza ed i luoghi che intendi vistare in Israele. Un timbro su un foglietto di carta (oggi non viene più messo il timbro sul passaporto) e si entra nel salone dove vengono consegnati i bagagli.

Una ragazza si avvicina, è l’assistente dell’aeroporto che ha il compito di accompagnarci fuori e presentarci alla nostra guida. E’ così che  incontro e conosco Joseph, un palestinese cristiano, archeologo,la nostra guida  per tutta la durata del viaggio. Saliamo sul pullman e si parte per Nazareth.

L’impatto con la città di Tel Aviv è molto forte: una città moderna, con grandi grattacieli, spesso sedi di banche, e questi enormi cartelli pubblicitari che ci sovrastano e ci invitano allo shopping in eleganti centri commerciali, mentre a nord sul mare, una spiaggia dorata le fa da corona e sulle strade…traffico, traffico, tanto traffico.

Una domanda mi sorge subito spontanea: sono forse a Miami? Ma no, ecco che mi si apre davanti il paesaggio tipico del Medio Oriente: le sue case basse, bianche e con il tetto piatto sul quale si stagliano contro il cielo delle cisterne nere, probabilmente delle riserve di acqua, il tutto immerso in una foresta di antenne e parabole per la ricezione di programmi tv. Ogni tanto dei minareti spuntano qua e là in zone mussulmane del paese, illuminati di notte da una luce verde.

Ma ecco la piana di Megido lungo l’antica via Maris, la via del mare, lunghissima ed antica strada di cominicazione che dalla Mespopotamia, conduceva le carovaniere ai porti di Cesarea Marittima e Jaffa, e quindi in Egitto. Ed è qui nella piana di Megido, o Tel Megido in arabo che secondo l’Apocalisse si dovrà combattere la battaglia finale (l’Armageddon) tra Gesù e Satana alla fine dei tempi. Più avanti, Cesarea Marittima fondata da Erode il Grande tra il 25 e il 13 avanti Cristo. Ci si ferma per visitare i resti di un antico acquedotto romano, l’unico che sia stato costruito sulla spiaggia, poi si riprende il cammino, ma ormai è sera e in lontananza si scorge il profilo di una montagna: il monte del “precipizio”, narrato nel Vangelo di Luca, dove i concittadini di Gesù, increduli per quanto aveva loro comunicato e cioè di essere il Messia, lo condussero per ucciderlo ma egli passando tra la folla riuscì a sfuggire.

Ma ormai siamo in Galilea, ormai siamo a Nazareth!

Nevers, una semplice bellezza

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A circa 250 km da Parigi nella regione della Borgogna, bagnata dalle acque della Loira sorge la cittadina di Nevers. Il paesaggio è quello di una tipica cittadina della campagna francese: le case con i tetti mansardati ricoperti di ardesia e tutt’attorno questi colori smorzati da un vissuto e da un intenso passato storico.

Ma perché parlo di questa cittadina? C’è forse un santuario sconosciuto ai più? Ebbene no non c’è alcun santuario rinomato ma in questo borgo nel 1866 varcava la soglia del convento delle suore della Carità sulla collina di Saint Gildard una ragazza di nome Marie Bernarde conosciuta da tutti come Bernadette: la veggente di Lourdes.

Bernadette a 22 anni entra nel convento delle suore, e lì morirà all’età di 35 anni dopo una lunga malattia. Venne sepolta nel giardino del convento e dopo 30 anni fu riesumata. Ma lo stupore dei medici che fecero la ricognizione del corpo fu tanta quando si accorsero che era incorrotto. Furono fatte molte analisi ma la pelle era ed è, ancora oggi, elastica e gli organi interni completamente intatti. Venne messa allora in un sarcofago di cristallo dove tutt’oggi è esposta alla venerazione dei pellegrini.

Fu canonizzata nel 1933 sotto il pontificato di Pio XI, non tanto perché Bernadette ha avuto il privilegio di vedere la Madonna, piuttosto per la semplicità con cui ha condotto la sua vita. Lei stessa era solita ripetere: “E’ perché ero la più povera ed ignorante che la Vergine mi ha scelta”.

Quando la vedi, rimani senza parole ed è impossibile non commuoversi di fronte a tanta bellezza! La prima volta che l’ho vista è stato sconvolgente: avevo davanti il volto di una giovane suora addormentata con le mani giunte. Tante furono le emozioni che mi sconvolsero ma più di tutte la pace e la serenità che mi invasero appena posai gli occhi su quel volto.

Oggi le sorelle delle Carità di Nevers stanno passando una crisi vocazionale e nel convento ci sono pochissime suore e qualche novizia. Nel 1970 fu ristrutturato il convento e gli venne dato il nome di “Espace Bernadette”. Adesso è aperto ai visitatori, ai gruppi e ai pellegrini in generale.

Su questo luogo non c’è molto da dire. Il silenzio che avvolge il tutto parla da solo. Solamente una preghiera sale spontanea dal cuore: Santa Bernadette prega per me, prega per noi…

 

Lourdes, l’abbraccio di Maria

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“Io sono l’Immacolata Concezione” con queste parole la piccola Bernadette di soli 12 anni, quasi del tutto analfabeta, si presentò alla porta del parroco l’abate Peyramale di una piccola e quasi insignificante cittadina ai piedi dei Pirenei il 25 marzo del 1858: Lourdes.

Immaginatevi lo stupore del parroco a quelle parole dette da Bernadette, chi gliele ha dette? come fa una ragazzina che neppure sapeva scrivere ad aver  pronunciato una verità teologica così profonda, un dogma di fede che solo il Papa 4 anni prima aveva dichiarato? Oggi diremmo internet, la stampa, la televisione, i mass –media. Ma a quel tempo non c’era neppure il telefono, scoperto solo nel 1871. Ma allora a Bernadette chi aveva rivelato ciò se non la diretta interessata e cioè Maria? Ma chi è “Quella là” che chiede penitenza, penitenza, penitenza?  E perché chiede processioni? e perché dice ai preti di costruirle una cappella? Quante domande si poneva il povero abate…

Ma allora alla grotta di Massabielle quel giorno dell’ 11 febbraio del 1858 veramente la Madre di Dio è scesa sulla terra?  Si, era tutto vero, quel giorno si sono aperte le porte del cielo e Maria è scesa sulla terra, scegliendo un’ignorante analfabeta per compiere la sua missione!!

E’ da poco passato l’illuminismo e il periodo della restaurazione è ai suoi albori. In tutta Europa e in particolar modo in Francia si erano creati dei moti rivoluzionari e si stavano affermando le nuove idee di libertà e nazionalità. In questo periodo sorsero Il liberismo e il socialismo, l’autoritarismo e il liberalismo, il nazionalismo e il radicalismo, tutti movimenti che nulla avevano a che fare con la fede religiosa. Quell’inverno per Lourdes fu particolarmente difficile: carestia, disoccupazione, epidemie avevano fatto le loro vittime. Anche la famiglia di Bernadette, i Soubirous, da mugnai benestanti si ritrovarono ben presto a dover dormire in una ex prigione (Cachot), dico ex prigione, perché era talmente malsana l’aria di questo luogo che il carcere con i detenuti era stato spostato altrove.

Sono passati ormai oltre 150 anni da quel giorno e di cose a Lourdes ne sono cambiate molte. Si sono costruiti alberghi, (oggi è  dopo Parigi è la città di Francia con il più alto numero di alloggi), negozi, ecc…

Ma lo spirito che si respira a Lourdes è sempre lo stesso.

Quando si arriva, dalla strada principale non sono visibili né la Grotta, né le basiliche perché si trovano ad un livello stradale più basso. Ma quando si varca il cancello principale eccole finalmente: la basilica del Rosario, la più bassa, sovrastata dalla basilica superiore e a sua volta sovrastata dalla cripta. Dall’alto due rampe scendono fino al piazzale principale e con un abbraccio accolgono tutti i pellegrini. A me piace pensare che siano le braccia di Maria stessa che ti stringono in un abbraccio materno.abbraccio

Quando sei a Lourdes all’interno del recinto, non pensi più a nulla.

Sei solo tu con la tua Mamma celeste, che è sempre pronta a raccogliere le tue richieste, le tue tristezze, le tue povertà, le tue infermità. Lei è li che ti aspetta alla Grotta e come solo una madre sa fare ti ascolta, ti conforta e teneramente ti abbraccia con quella tenerezza che ha solo una madre ha.

I malati, parte importante di questo luogo sono le persone predilette da Maria e quando vedi bambini, giovani, vecchi in carrozzella o in lettiga, anche se sei consapevole che per molti di loro Lourdes rappresenta “l’ultima spiaggia” non sei sovrastato dalla pietà perché nei loro sguardi vedi il miracolo della pace e della serenità.

Una volta, parlando con un santo sacerdote, gli dissi che stavo per partire per Lourdes e dato che si trovava molto malato, gli annunciai che avrei pregato per lui. Ma egli di rimando mi disse che pregassi non per lui ma perché riuscissi a capire la sua sofferenza. E’ vero a Lourdes ti si apre il cuore e comprendi che la sofferenza di questi malati è a riscatto anche dei miei peccati.

La giornata del pellegrino, inizia con la S. Messa alla Grotta la mattina presto, quindi c’è tempo per bagnarsi alle piscine(che sono poi delle vasche in pietra) dove scorre l’acqua della fonte che la Vergine fece scavare a S. Bernadette, poi  la via Crucis con statue di bronzo, a seguire la processione del Santissimo e la benedizione degli ammalati e a sera la processione con le fiaccole. La giornata molto spesso si chiude con un ultimo rosario recitato sulle rive del Gave, il fiume che lambisce la S. Grotta.

Generalmente un pellegrinaggio dura circa 4-5 giorni, ma quando si parte per il viaggio di ritorno, facendo l’ultimo saluto alla Madonna, la felicità che porti dentro ti segue tutto l’anno.

Fatima, la luce sul mondo.

13 maggio del 1917. Era la domenica precedente l’Ascensione e tre piccoli pastori di 10, 9 e 7 anni dopo aver partecipato alla S. Messa, andarono a pascolare il gregge in una radura chiamata “Cova de Iria”. Era una grande radura di terra disconnessa con qualche piccolo leccio. Fu su uno di quei lecci che, dopo un lampo improvvmadonna fatimaiso, apparve una signora rivestita di luce. I ragazzi ne ebbero timore ma la bella signora disse: “non abbiate paura, sono del cielo”.

A Fatima, tutto iniziò così.

A Lucia, Giacinta e Francesco la Vergine apparve ogni 13 del mese da Maggio ad Ottobre, chiedendo ai ragazzini penitenza per i “poveri peccatori” e lasciando loro tre segreti.

Oggi Fatima conta circa 12 mila anime ed è un paesino ubicato nel comune di Ourem nel cuore del Portogallo. Non esistono nè ferrovia né tantomeno un aeroporto. Vi starete chiedendo come si arriva in questa piccola oasi sperduta della valle portoghese. Ebbene, la cittadina dista solo 120 kilometri da Lisbona percorribili tramite pullman di linea. Il percorso, a differenza di quello che porta a Medjugorje, è lineare. Appena usciti dall’autostrada, ci accolgono loro Lucia, Giacinta e Francesco che, come delle guide, ci indicano il cammino.

Ed ecco Fatima!

Si apre subito davanti ai nostri occhi la Cova de Iria: quello che al tempo delle apparizioni era una pietraia disconnessa, oggi è una grande piazza in cui svetta nella parte alta la Basilica. A sinistra del piazzale la Cappellina delle Apparizioni: una minuscola cappella avvolta in una struttura di vetro che racchiude la statua della Vergine.

Certamente oggi Fatima si presenta al pellegrino in una veste ben diversa da come era al tempo dei pastorelli: moderni alberghi e negozi, che in maniera molto discreta, fanno da contrappunto alla spianata di Cova de Iria.Ma se qualcuno volesse rendersi conto di come fosse la zona al tempo delle apparizioni, è sufficiente percorrere il sentiero che si sviluppa dalla Rotonda Sud verso Valinos, Cabeco e Aljustrel, e perdersi tra i terreni incolti, i lecci e l’eucalipto che qua cresce rigoglioso. È qui che il pellegrino può percorrere la Via Crucis e ritrovare sé stesso.

Su Fatima sono stati scritti fiumi di inchiostro e sui segreti che la Vergine ha rivelato ai tre pastorelli si sono spese parole all’infinito; in special modo sul famoso terzo segreto.

E allora perché andare a Fatima?

Perchè è il luogo in cui si possono chiedere delle grazie, in cui il pellegrino rafforza la fede e si immerge in quella profonda e personale preghiera che solo il credente può comprende.

Ma soprattutto, perché Fatima è il luogo in cui il pellegrino si ferma e dice “Grazie”.

Medjugorje…terra di pace o di sassi?

La guerra dei Balcani era appena terminata quando mi venne chiesto di organizzare un medjpellegrinaggio a Medjugorje, con un po’ di timore, per la logistica del viaggio e per quello che avrei trovato arrivato là, decisi di viaggiare in nave da Ancona a Spalato imbarcando il bus che poi ci avrebbe portato attraverso i monti a destinazione.
La traversata, di notte, in comode cabine, quella per l’accompagnatore, la migliore ovviamente, direttamente posizionata sopra i motori, mi vide insonne e trepidante, ansia? Paura? Viaggio verso l’ignoto? No, i motori a tratti asmatici, a tratti martellanti sconquassavano la cabina facendo cigolare i mobili e impedendo il sonno….ma alla mattina ecco Spalato….bella, vacanziera con le palme (che fanno sempre croisette..), nobildonna con il palazzo (di Diocleziano…293 D.C.), imponente e, dietro nelle viuzze tutto il resto di un’architettura che racconta dei popoli che via via hanno dominato l’Adriatico…ma la nostra meta era Medgiugorje…
Si fa dogana e poi via per strade di montagna, piccoli paesi con le case mitragliate (Io sono nato negli anni ’50, non le avevo mai viste….) il filo bianco e rosso a delimitare i campi, ma non erano i soliti lavori stradali interminabili all’italiana…erano le “recinzioni” dei campi minati…piccole chiese aperte come carciofi da qualche bomba, minareti mozzati…. Ma più sconvolgenti di tutto… i volti delle persone, ancora attoniti, sopravvissuti a una guerra assurda, osservavano questi dell’occidente che dopo aver combattuto in qualche modo nella loro guerra, adesso si fiondavano a frotte con i bus, i preti e i rosari per andare dove? Verso un paese neppure segnato sulle carte stradali, chissà cosa pensavano di noi…
In questo contesto, curva dopo curva, sasso dopo sasso ecco Medjugorje. Dovete sapere che in bosniaco il termine “Medjugorje” significa “paese tra i monti”, e una volta lì capii subito il perché i suoi abitanti la chiamavano così: montagne, montagne ovunque.
La prima cosa che mi saltò all’occhio dopo l’ultima curva fu la chiesa di San Giacomo o Santuario della Regina della Pace. Una chiesa troppo grande per il numero di abitanti, ma troppo piccola per la quantità di pellegrini che da ogni parte della terra accorrono in questo luogo alla ricerca della pace. E tutt’intorno? Beh, a parte qualche casa e qualche pensione tutto ciò che si notava era la distesa enorme di sassi. Sassi, sassi, solo sassi.
Ma cominciamo il nostro viaggio, partiamo dal Podboro o collina delle apparizioni. All’apparenza è un’enorme pietraia la cui salita è resa difficile dalle pietre lisce ed instabili; qua e là, lungo la salita, notiamo delle formelle di bronzo raffiguranti i misteri del rosario. Sulla cima la statua di marmo della Vergine Maria indica il punto in cui i 6 veggenti vedevano regolarmente la Madonna. Poco sotto, dall’altro versante del monte, troviamo una croce blu anch’essa simbolo delle apparizioni.
Per finire il Krizevac, sulla cui sommità nel 1933 venne posizionata una croce per ricordare i 1900 anni dalla crocifissione. Lungo il percorso sono state posizionate le stazioni della via crucis.

Questa è Medjugorje, come potete immaginare è un paesino modesto. Ma quello che colpisce il pellegrino, dopo quell’ultima ed estenuante curva, è la grande fede e la pace che sprigiona questa cittadina. Qui un fedele cura lo spirito, il cuore ritrova Dio e l’uomo ritrova la sua dimensione e il suo valore nel mondo. Qui, la presenza di Maria si sente ed palpabile in ogni cosa.
A Medjugorje vai se sei chiamato e quando torni a casa non vedi l’ora di poterci tornare.