Le Lacrime di Siracusa

Era una bella giornata primaverile quando, dopo un tour con un gruppo in Sicilia, mi trovai a dover soggiornare l’ultima notte a Siracusa.

L’hotel era situato vicino alla zona archeologica della Neapolis.

Decisi quella sera di godermi l’aria limpida e tersa intorno a me, mi incamminai quindi verso la città.

Appena giunto tra le abitazioni intravidi una costruzione, una chiesa abbastanza moderna fatta a “cono rovesciato” e mi ricordai che doveva essere il santuario dedicato alla Madonna delle Lacrime.

L’evento prodigioso della lacrimazione avvenne nel 1953 in casa dei coniugi Iannuso di Siracusa.

La moglie del signor Iannuso era in attesa del primo bambino, ma aveva una gravidanza difficile e spesso le procurava un abbassamento della vista. La notte del 29 Agosto la sua condizione peggiorò tanto che divenne cieca.

La mattina riacquistò la vista e alzando gli occhi verso il quadro che aveva sopra il letto, vide delle grosse lacrime scendere sul viso della madonnina.

Il fenomeno durò fino al primo settembre.

Si recarono sul luogo il vescovo e alcuni chimici del laboratorio di igiene e profilassi, assieme al dott. Cassola dichiaratamente ateo.

In loro presenza dagli occhi dell’immagine di Maria sgorgarono copiosamente le lacrime.

Vennero raccolte le lacrime con una provetta e vennero compiute le analisi sul quadro. Il liquido aveva la stessa composizione chimica delle lacrime umane e lo stesso dott. Cassola non seppe spiegare il fenomeno.

Il 12 dicembre dello stesso anno, la chiesa dichiarò autentica la prodigiosa lacrimazione.

Il tempo a disposizione che avevo era veramente poco, ma non potevo partire da Siracusa senza fare una visita al Santuario; così mi informai sull’apertura mattutina e mi ripromisi di andarci la mattina seguente.

Alle 6 mi alzai e prima ancora di fare colazione andai al santuario. Aveva appena albeggiato e il sole iniziava a riscaldare con i suoi teneri raggi.

Man mano che mi avvicinavo alla costruzione mi resi conto che gli architetti nel realizzare l’opera, cercarono di rappresentare una lacrima caduta dal cielo che cadendo bagnava di grazie i pellegrini che si avvicinavano ad essa.MADONNA DELLE LACRIME

Il cancello del recinto era aperto e il sacrestano che incontrai sul sagrato stava per aprire la porta.

Entrai in chiesa e a quell’ora ancora non c’era nessuno, tutto era in penombra.

Dietro l’altar maggiore c’erano illuminati una grande croce e ai suoi piedi il piccolo quadro: era il quadro del “prodigio”.

Mi sentii avvolto dalla grazia di Maria e in quel momento chiesi la protezione e il suo soccorso per tutte quelle famiglie che tutt’oggi vivono nella disperazione, nel pianto e INTERNO SANTUARIO LACRIMEnella sofferenza.

L’incontro di quella mattina fu un momento breve, ma intenso.

Dopo aver acceso una candela, uscii dal Santuario.

Come il lume bruciava nel Santuario, così nel mio cuore si accese la speranza che la mia preghiera potesse essere ascoltata dalla nostra Mamma Celeste.

Il Pane trasformato

 

Oggi vorrei raccontarvi della prima volta che visitai il Santuario del Miracolo Eucaristico di Lanciano.

Nel 1999, stavo organizzando un viaggio di gruppo con destinazione San Giovanni Rotondo. Durante la stesura del programma mi accorsi che mi occorreva un punto, un luogo dove poter fare una sosta per il pranzo visto che la distanza non mi permetteva di fare il viaggio in un’unica soluzione.

Sapevo che nella zona di Chieti c’era una località, Lanciano, che era nota per un Miracolo Eucaristico avvenuto attorno alla prima metà dell’VIII secolo.

Così impostai il tour decidendo di fermarmi proprio in quel luogo.

Partimmo che era primavera inoltrata, la fresca brezza mattutina aiutava a svegliarci dall’intorpidimento della notte trascorsa. Arrivammo a Lanciano all’ora di pranzo e, scesi dal pullman, ci incamminammo verso il centro storico dove era stato prenotato il ristorante.

Sinceramente, arrivando a Lanciano non immaginavo di trovarmi di fronte ad una città ricca di monumenti di straordinaria bellezza ma soprattutto un luogo così intriso di storia: il suo nome in epoca romana era Anxanum ed ebbe il suo massimo splendore nel Medioevo quando divenne importante per le sue Fiere di bestiame, visto che si trovava al crocevia dei due rami del famoso Tratturo.

Ma non sono qui per farvi una lezione; oggi vi voglio raccontare la storia di un monaco.

Si narra, infatti, che un monaco, discepolo di San Basilio, di origine greca, studioso delle scienze umane, fosse tormentato dal dubbio sulla reale presenza di Gesù nell’Eucarestia. Fu proprio per questa sua incertezza che avvenne il Miracolo. Infatti, si racconta che durante la celebrazione della S.Messa, nella chiesa di San Francesco, il monaco venne colpito ancora una volta dal dubbio che durante la consacrazione potesse avvenire la transustanziazione, cioè la trasformazione dell’ostia in carne e del vino in sangue; ed è proprio durante la consacrazione che vide l’Ostia tramutarsi in carne umana e il vino in sangue, il quale si coagulò in 5 grumi. Non si conosce il nome del monaco in questione ma sicuramente penso che le sue incertezze, dopo tale avvenimento, si fossero definitivamente dissipate.

La carne venne stesa dai monaci su un supporto ed esposta ai fedeli per la contemplazione.

I secoli trascorsero e la carne non presentava un benchè minimo segno di putrefazione.

Nel 1970, l’arcivescovo di Lanciano, decise di chiedere un esame istologico del “miracolo”. Il compito fu affidato al dott. Linoli, capo del servizio dell’ospedale

ostensorio

di Arezzo e professore di anatomia istologica e chimica, coadiuvato dal prof Bertelli dell’Università di Siena. Il dr Linoli, fece dei prelievi sulle reliquie e il risultato presentato qualche mese dopo dette conferma che la carne miracolosa è veramente carne umana ed appartiene al muscolo cardiaco ed anche il sangue miracoloso, confermato dall’esame cromatografico, è vero sangue umano appartenente al gruppo sanguigno AB (lo stesso della Sacra Sindone conservata a Torino) ed entrambi i campioni, carne e sangue, sono della stessa persona. Oltre a ciò, il dr Linoli ha certificato che non vi è la presenza di sali o sostanze estranee introdotte a scopo di mummificazione.

Anche la scienza, quindi, ci conferma l’inspiegabilità dell’avvenimento.

Il Miracolo, posto in una teca di cristallo di rocca sull’altare maggiore, è sempre visibile così come visibili sono i grumi di sangue.

Da dietro l’altare, alcuni gradini permettono ai visitatori di salire

per meglio vedere da vicino il prodigio avvenuto nell’VIII secolo.

Quando fu arrivato il mio turno, salii con trepidazione quei pochi gradini, e subito risuonarono in me le parole dell’Angelo che disse ai 3 pastorelli a Fatima: “Dio mio, io credo, adoro, spero e Vi amo. Io Vi domando perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano, non Vi amano.”

Quando talvolta, umanamente, siamo portati a dubitare, il Miracolo avvenuto a Lanciano ci riporta a credere che, nonostante l’apparenza, durante la S. Messa nel momento della consacrazione veramente in quell’Ostia c’è la presenza di Gesù con la sua carne, il suo cuore e il suo sangue.

Lo posso dire, sono uscito da quel Santuario con un senso di pace e con le risposte che attendevo da tempo e che non sapevo la mia anima stesse cercando.

Il Pianto del Signore

 

A circa mezza costa del Monte degli Ulivi, tra la chiesa del “Pater Noster” e la Valle del Cedron, c’è la chiesa detta “Dominus Flevit” (Il Signore Pianse).

dominus flevitProvenendo dalla chiesa del Pater Noster, la strada è stretta e ripida con l’asfalto reso liscio dall’usura e dal sole. Sulla destra, centocinquantamila tombe si presentano come grandi sarcofagi di pietra su ognuno dei quali i visitatori o parenti del defunto lasciano un sassolino come simbolo per la visita fatta: è il cimitero ebraico. Dal cancello aperto, scorgo degli ebrei in preghiera e la mia guida mi dice che in quel cimitero ci sono anche le tombe di alcuni profeti, tra cui il profeta Zaccaria. Il motivo per il quale un ebreo vuol essere sepolto in quel cimitero è da ricercare in un brano della Bibbia e precisamente nel libro di Zaccaria, dove si identifica il Monte degli Ulivi come il luogo da dove, alla fine dei tempi, Dio inizierà a far risorgere dai morti.imitero ebraico

Quasi difronte al cancello del cimitero, sulla destra, un altro cancello ci introduce in un giardino ben curato: ci sono fiori, piante grasse, ulivi, eucalipti. Al centro una costruzione la cui forma ricorda una “lacrima”: è la chiesa della Dominus Flevit, costruita dall’arch. Barluzzi nel 1955.

L’edificio è piccolo ed è stato costruito su una pre-esistente chiesa bizantina del IV secolo il cui pavimento a mosaico è oggi parte della chiesa stessa. L’interno, abbastanza spoglio, è caratterizzato da un’enorme vetrata dietro l’altare, dalla quale è possibile scorgere il panorama della città vecchia di Gerusalemme, anche se la vista migliore si ha all’esterno dalla terrazza: le mura con la Spianata delle Moschee da cui spicca la scintillante Cupola d’Oro della Moschea, la porta dei Leoni, la tozza cupola della chiesa del S. Sepolcro, a sinistra l’isolata chiesa del Gallicantu e in fondo il campanile della chiesa del Patriarcato Latino. Poi la chiesa della “Dormitio Mariae”, e naturalmente tra la chiesa della Dominus Flevit e la cittadella di Gerusalemme, in basso, l’orto del Getzemani e la trafficata strada che percorre tutta la valle del Cedron. Oggi il cielo è particolarmente terso da nubi e le pietre biancastre degli edifici che formano la città amplificano il suo splendore, mentre gli immancabili muezzin fanno sentire asincronicamente la loro voce dalle numerose moschee della città, richiamando i fedeli dell’Islam alla preghiera.

oldcity22 In questo luogo viene ricordato il fatto descritto nel Vangelo di Luca, quando Gesù guardando, Gerusalemme, pianse dicendo «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».

 Quanto è vero ed attuale il pianto del Signore!! Quanti ancora dopo oltre duemila anni non hanno compreso! La tristezza mi invade ricordando quante volte il Signore avrà pianto per noi, avrà pianto per me per non aver compreso i suoi insegnamenti, per non essere stati pronti a raccogliere la sua parola. Dunque, anch’io sono come la cittadina di Gerusalemme che non ha compreso la via della pace? Anche noi saremo cinti d’assedio e saremo abbattuti perché non abbiamo riconosciuto il tempo in cui siamo stati visitati?

E’ con questi pensieri che malinconicamente lascio questo luogo e mi avvio verso il giardino del Getzemani.

Betlemme, una grotta di luce

 

 

 

 

“Siam Giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei……” così inizia la poesia “ la Notte Santa” scritta da Giudo Gozzano nel  1914 che imparai alle scuole elementari.

In effetti sono a Betlemme. La piccola Betlemme sorge a circa 10 km a sud di Gerusalemme su due colline a circa 750 metri di altezza. Il suo nome in ebraico Beit Lehem significa letteralmente “casa del pane”, mentre in arabo Bayt Lahm significa “casa della carne”. Era la città del Re Davide.  Per arrivarci, essendo una città sotto il controllo dell’autorità palestinese, occorre passare il muro che la separa da Gerusalemme. Un controllo sommario dei passaporti effettuato dai militari israeliani e si entra in territorio palestinese, nella Cisgiordania.

Il paesaggio decisamente cambia e si passa da quello che definiremmo “occidentale” con strade ordinate e abitazioni di tipo residenziale ad un paesaggio dove le abitazioni sembrano sgomitare tra loro per farsi spazio in un piccolo territorio messo a loro disposizione: 30 km quadrati con circa 30 mila abitanti. Anche dove transitiamo con il pullman le strade non si possono definire tali; a volte mi sono sempre domandato se gli autisti dei nostri pullman sarebbero capaci di condurre un mezzo di dodici metri su strade dove a mala pena riescono a passare due automobili !

Finalmente dopo alcune “acrobazie” da formula uno del nostro autista, si arriva al parcheggio riservato ai pullman: è una costruzione fatta con grezze pareti e grossolane colonne di cemento armato che a prima vista non mi sembra neppure terminata. E’ costruito sulla costa della collina a strapiombo sulla vallata. Scendiamo dal nostro mezzo e subito una nube di gas di scarico ci prende alla gola. Usciamo e ci troviamo “assediati” dai soliti venditori di rosari ed altri oggetti di culto.

Dopo pochi metri, eccoci nella piazza dove sorge la Basilica della Natività. E’ abbastanza grande ed è caratterizzata dall’imponente costruzione del minareto della Moschea di Omar.  Di lato ad essa, una strada con diversi bazar tipici del medio oriente le cui vetrine sono tappezzate da colorati tessuti.  Da altri negozi di spezie accatastate in sacchi di iuta escono fragranti profumi che impregnano l’aria. Vedo anche degli orafi con le loro vetrine strapiene di oggetti esposti disordinatamente sotto la luce di lampade al neon.

Nella strada e nella piazza vicina è tutto un brulicare di turisti, pellegrini e abitanti di Betlemme. Sono in maggioranza mussulmani e li riconosco perché indossano le tipiche tuniche e  le donne  sono velate.

I bambini giocano sulla piazza e si mescolano ai numerosi venditori, anche giovanissimi, di paccottiglia. Il selciato della piazza è fatto di pietre di un colore biancastro tendente all’ocra ormai rese lisce dal tempo, dall’usura e dal sole.

Ma la basilica della natività dov’è?

In effetti non è molto visibile perché un alto muro la racchiude come una fortezza.Vi si accede chinandosi da una porta molto bassa e il muro di passaggio è spesso quasi 1 metro. Questo chinarsi è un atto penitenziale, per entrare nel luogo della nascita di Gesù.

Appena entrati, ci si trova nella chiesa ortodossa. Dal soffitto scendono numerose lampade e siccome un tempo venivano alimentate ad olio, l’interno della basilica è scuro e tetro. Anche gli affreschi sono scuriti dal tempo. Ma mi avvio verso destra dove una fila interminabile porta alla grotta della natività.

Dopo circa mezz’ora di coda mi trovo a scendere dodici scalini di marmo, parecchio stretti e poco illuminati. Appena entrati subito a destra un piccolo altare ricoperto di drappi, mentre sotto ad esso, per terra la stella in argento: è il punto della nascita, una serie di lampade pendono sopra la stella, mentre di fronte ad essa si trova la mangiatoia. Mi chino per baciare la stella e mi apparto per meditare. C’è un prete ortodosso che mi fa cenno di uscire, ma dato che in quella posizione non blocco la coda dei pellegrini, italianamente faccio finta di nulla e rimango qualche minuto in preghiera.

Oltre duemila anni fa, Egli è nato per noi, è nato per me. E’ nato per portare luce in quella grotta della nostra anima, in quella grotta dove spesso cerchiamo di nascondere le nostre povertà. E Lui povero tra i più poveri, piccolo tra i più piccoli, nella più piccola tra le città della Giudea, in un’esplosione di luce è nato ed ha rischiarato il mondo portando in ciascuno di noi la speranza, l’amore…….la vita.

Sono sceso in questa grotta un po’ buia dove l’Amore si è fatto carne in un bambino e per uscire risalgo da altri gradini alla vita nella luce del Salvatore.

Ormai è tardi e usciamo da Betlemme, con una breve sosta alla “Grotta del Latte”, una grotta tutta bianca dove la leggenda racconta che la Madre di Dio con Giuseppe e il Bambino si soffermò ad allattare Gesù. Una goccia di latte cadde dal suo seno e da quel giorno tutta la caverna ha assunto il colore bianco.

A un paio di chilometri dalla Grotta della Natività una fermata d’obbligo anche al  “Campo dei Pastori”: un  giardino con tante piante e pini dove ci sono alcune grotte che furono usate dai pastori. C’è anche qui una cappella costruita dall’architetto Barluzzi. All’interno, degli affreschi raccontano la natività e l’annuncio ai pastori, mentre dal tetto costruito con tanti fori chiusi da piccole tessere di vetro, lasciano trasparire la luce come fosse un cielo stellato.  Non può non tornarmi in mente la poesia di Gozzano:

“È nato!

È nato il Sovrano Bambino.

La notte, che già fu sì buia,

risplende d’un astro divino.

Orsù, cornamuse, più gaie

suonate; squillate, campane!

Venite, pastori e massaie,

o genti vicine e lontane!”

Cafarnao, le pietre raccontano.

 

 

Immagine 794

Ed eccoci a Cafarnao, la città di Gesù situata sulla sponda israeliana del lago di Tiberiade.

La cittadina, ai tempi di Gesù non aveva neppure un nome, infatti era considerata un semplice villaggio di frontiera il cui nome ebraico Kefar-Nahum significava “villaggio della consolazione”.  Qualcuno lo ha anche identificato come villaggio di grande confusione e non poteva essere altrimenti, visto che si trovava in punto strategico della Via Maris, via di grande comunicazione tra l’Egitto, l’Anatolia e la Mesopotamia.

In questo luogo di frontiera, Gesù scelse i dodici apostoli, insegnò alla sinagoga, compì miracoli e convertì pagani.

Ad accoglierci il convento dei francescani, una tozza costruzione di pietre a fasce bianche e nere posta sulla destra dell’ingresso degli scavi archeologici.

Superati i tornelli, ci troviamo immersi negli scavi archeologici di questa città; gli scavi, molto ben conservati, sono all’interno di un parco con alberi di alto fusto come cipressi, frondosi ficus le cui radici affiorano sul terreno, pini, palme e agave.

Ma ecco, tra le rovine, la casa di Pietro.

Era una tipica abitazione, quasi quadrata con un’unica porta di ingresso il cui stipite conserva ancora le tracce dei battenti che venivano chiusi dall’interno. Era costituita da diversi ambienti e come spesso avveniva, poteva ospitare diverse famiglie; quindi oltre alla famiglia di Pietro e di sua suocera, anche quella di suo fratello Andrea.

Tutte abitazioni della città avevano in comune il cortile il cui pavimento era composto da terra battuta.  Spesso il luogo era ombreggiato da tettoie ricoperte di paglia, e c’era il forno per la cottura del pane. Alla vista del pavimento, non può non tornarmi in mente la parabola in cui Gesù parla della Dramma (moneta) smarrita da una donna, la quale per ritrovarla prende la lucerna e spazza il pavimento attentamente fino a quando non la ritrova. Tutta la giornata o quasi tutta veniva trascorsa in questi cortili.

In mezzo agli scavi, si erge sostenuta da otto possenti e basse colonne di cemento armato, una chiesa moderna, che per come è stata costruita, ricorda una nave spaziale. Una breve rampa di scale porta all’interno della chiesa, ma appena entrati spicca nel mezzo davanti all’altare una recinzione posta tutt’attorno al pavimento di vetro un “oculos”, dal quale è possibile vedere i resti dall’alto.

Sto guardando la casa da quello che era il tetto e subito mi viene in mente il brano evangelico in cui si parla di come il paralitico nel suo “lettuccio” venne calato dal tetto per poterlo portare davanti a Gesù e di come Lui compì il miracolo della sua guarigione.

Anch’io spiritualmente mi sto calando nella casa di Pietro ed anch’io come il paralitico sto chiedendo la grazia della conversione.

A pochi metri dalla casa di Pietro, si erge la Sinagoga o meglio quello che resta della vecchia costruzione.

Vi assicuro che l’emozione nel calpestare il pavimento di quel luogo dove Gesù ha parlato è molto forte.

Dalle poche mura rimaste in piedi riecheggia la voce di Gesù che racconta la parabola del figliol prodigo che torna dal Padre dopo aver sperperato i suoi averi. Ecco anch’io oggi in questo luogo mi sento un po’ come quel figlio che tornando chiede perdono per essermi allontanato dalla sua grazia.

La brezza del vicino lago mitiga il caldo, mentre per la gioia che provo mi prende un nodo alla gola.

Gesù è presente, sento la Sua vicinanza, la sua grazia ed il suo amore paterno mi avvolgono in un abbraccio filiale.

LA CHIESETTA SUL LAGO

 

 

 

Dal titolo, sembrerebbe quasi un romanzo rosa, uno di quei racconti dove si parla di amore e, in effetti, oggi è proprio di amore che vorrei parlarvi. In particolare di un lago, di una chiesetta, dell’Amore e della pace che lì si respirano.

Per arrivarci, si scende dalle colline di Nazareth verso il lago di Tiberiade o mare di Genezareth o mar di Galilea, dove si attraversa un tratto di montagna. A circa metà strada tra le rocce, un cartello indica “meno duecento metri sotto il livello del mare”. È strano, direte voi, come possiamo essere in montagna e allo stesso tempo sotto il livello del mare? È incredibile, ma siamo sul lago di Tiberiade.

Questo lago di acqua salata, (da qui l’appellativo di Mare) occupa una depressione creatasi sulla crosta terreste. Davanti a noi, dalla parte opposta le alture del Golan ed oltre ancora la Siria. Costeggiamo con il pullman lo specchio d’acqua fino a raggiungere un parcheggio non molto grande, e da lì ci inoltriamo in un lussureggiante giardino coltivato con piante ad alto fusto ma, ahimè, la mia scarsa conoscenza in botanica, mi porta a riconoscere solo alcune delle innumerevoli specie che vi sono piantate: l’eucalipto, una magnolia, dei pini.

Sulla destra, dei gazebo al cui interno sono state collocati degli altari realizzati con delle vecchie macine di mulino. Ma ecco in fondo alla discesa il lago e prima ancora sulla sinistra una piccola chiesetta.

La costruzione è in pietra viva.

Si entra e un altare è posto sopra una roccia che spicca dal pavimento. Su questa roccia un cartello con una scritta in latino “Mensa Christi”. In questa chiesetta, detta anche del Primato di Pietro, si ricorda il brano narrato nel Vangelo di Giovanni, in cui Gesù come un fantasma dopo la resurrezione, camminando sulle acque apparve ai discepoli e dove dopo aver mangiato con loro del pesce, cotto sopra una roccia, chiese a Pietro a più riprese: “Pietro mi ami tu?”. E Pietro ha la risposta pronta, quasi stizzita: “Signore tu lo sai che ti amo…”

Non c’è nessun avallo scientifico che il luogo fosse veramente questo, ma certamente lo spirito che aleggia porta a credere e a ripensare alla nostra fede nell’amore di Cristo. Gesù ci parla, ci consola, condivide con noi le gioie e le nostre paure, mangia con noi, rimane in mezzo a noi e anche a noi, anche a me chiede “ma tu mi ami come io amo te?” E a quel punto ti rimane solo una cosa da fare: rispondere in piena e convinta sincerità e chiedere perdono per tutte quelle volte che lo abbiamo tradito, offeso, rinnegato.

Le lacrime iniziano a rigarmi il volto e sento il Suo perdono.

Se qualcuno mi chiedesse quale luogo della Terra Santa mi ha colpito maggiormente, non avrei alcun dubbio: la Chiesa del Primato.

 

 

Terra Santa: prima puntata – L’ARRIVO

tel_aviv_israel

Oggi,vorrei raccontarvi di Israele, ma talmente tante sono le cose da dire che percorreremo insieme questo viaggio in più “puntate”. Iniziamo  con Tel Aviv.

Dopo mesi di attesa per organizzare il viaggio e raccogliere le iscrizioni, finalmente si parte da Milano Malpensa con destinazione…. Israele!!! Ogni volta che prendo l’aereo, scelgo sempre un posto al finestrino perché dall’alto cerco di capire nelle giornate terse da nubi ed aiutato dai contorni del territorio, dalla forma di un lago o talvolta dal profilo di una costa,  che cosa l’aereo stia sorvolando. Riconosco bene il Po, il lago di Bolsena, poi forse la costa della Puglia, quell’isola fatta come una C rovesciata potrebbe essere Santorini e poi…mare, mare, mare.

Ecco però che si intravede dalla foschia una striscia di terra e la hostess annuncia che il pilota sta facendo le operazioni di avvicinamento. E’ la costa di Israele, della Terra Santa, della terra promessa ed improvvisamente non vedi l’ora di arrivare, ti batte il cuore e pensi “ecco la terra che fu dei patriarchi, di Abramo, di Giacobbe, dei profeti, di Gesù, di  Giuseppe…di Maria”.

Dopo un largo giro verso est, credo per evitare il passaggio sopra la striscia di Gaza, l’aereo sorvola a bassa quota Tel Aviv, per atterrare nel nuovo aereoporto intitolato a Ben Gurion, padre fondatore dello stato di Israele.

Si esce dall’aereo con il “finger” ed un lungo ed ampio corridoio con enormi vetrate porta i passeggeri di tutti i voli in arrivo al controllo passaporti eseguito da inespressivi funzionari che ti chiedono la durata della permanenza ed i luoghi che intendi vistare in Israele. Un timbro su un foglietto di carta (oggi non viene più messo il timbro sul passaporto) e si entra nel salone dove vengono consegnati i bagagli.

Una ragazza si avvicina, è l’assistente dell’aeroporto che ha il compito di accompagnarci fuori e presentarci alla nostra guida. E’ così che  incontro e conosco Joseph, un palestinese cristiano, archeologo,la nostra guida  per tutta la durata del viaggio. Saliamo sul pullman e si parte per Nazareth.

L’impatto con la città di Tel Aviv è molto forte: una città moderna, con grandi grattacieli, spesso sedi di banche, e questi enormi cartelli pubblicitari che ci sovrastano e ci invitano allo shopping in eleganti centri commerciali, mentre a nord sul mare, una spiaggia dorata le fa da corona e sulle strade…traffico, traffico, tanto traffico.

Una domanda mi sorge subito spontanea: sono forse a Miami? Ma no, ecco che mi si apre davanti il paesaggio tipico del Medio Oriente: le sue case basse, bianche e con il tetto piatto sul quale si stagliano contro il cielo delle cisterne nere, probabilmente delle riserve di acqua, il tutto immerso in una foresta di antenne e parabole per la ricezione di programmi tv. Ogni tanto dei minareti spuntano qua e là in zone mussulmane del paese, illuminati di notte da una luce verde.

Ma ecco la piana di Megido lungo l’antica via Maris, la via del mare, lunghissima ed antica strada di cominicazione che dalla Mespopotamia, conduceva le carovaniere ai porti di Cesarea Marittima e Jaffa, e quindi in Egitto. Ed è qui nella piana di Megido, o Tel Megido in arabo che secondo l’Apocalisse si dovrà combattere la battaglia finale (l’Armageddon) tra Gesù e Satana alla fine dei tempi. Più avanti, Cesarea Marittima fondata da Erode il Grande tra il 25 e il 13 avanti Cristo. Ci si ferma per visitare i resti di un antico acquedotto romano, l’unico che sia stato costruito sulla spiaggia, poi si riprende il cammino, ma ormai è sera e in lontananza si scorge il profilo di una montagna: il monte del “precipizio”, narrato nel Vangelo di Luca, dove i concittadini di Gesù, increduli per quanto aveva loro comunicato e cioè di essere il Messia, lo condussero per ucciderlo ma egli passando tra la folla riuscì a sfuggire.

Ma ormai siamo in Galilea, ormai siamo a Nazareth!

Nevers, una semplice bellezza

volto

A circa 250 km da Parigi nella regione della Borgogna, bagnata dalle acque della Loira sorge la cittadina di Nevers. Il paesaggio è quello di una tipica cittadina della campagna francese: le case con i tetti mansardati ricoperti di ardesia e tutt’attorno questi colori smorzati da un vissuto e da un intenso passato storico.

Ma perché parlo di questa cittadina? C’è forse un santuario sconosciuto ai più? Ebbene no non c’è alcun santuario rinomato ma in questo borgo nel 1866 varcava la soglia del convento delle suore della Carità sulla collina di Saint Gildard una ragazza di nome Marie Bernarde conosciuta da tutti come Bernadette: la veggente di Lourdes.

Bernadette a 22 anni entra nel convento delle suore, e lì morirà all’età di 35 anni dopo una lunga malattia. Venne sepolta nel giardino del convento e dopo 30 anni fu riesumata. Ma lo stupore dei medici che fecero la ricognizione del corpo fu tanta quando si accorsero che era incorrotto. Furono fatte molte analisi ma la pelle era ed è, ancora oggi, elastica e gli organi interni completamente intatti. Venne messa allora in un sarcofago di cristallo dove tutt’oggi è esposta alla venerazione dei pellegrini.

Fu canonizzata nel 1933 sotto il pontificato di Pio XI, non tanto perché Bernadette ha avuto il privilegio di vedere la Madonna, piuttosto per la semplicità con cui ha condotto la sua vita. Lei stessa era solita ripetere: “E’ perché ero la più povera ed ignorante che la Vergine mi ha scelta”.

Quando la vedi, rimani senza parole ed è impossibile non commuoversi di fronte a tanta bellezza! La prima volta che l’ho vista è stato sconvolgente: avevo davanti il volto di una giovane suora addormentata con le mani giunte. Tante furono le emozioni che mi sconvolsero ma più di tutte la pace e la serenità che mi invasero appena posai gli occhi su quel volto.

Oggi le sorelle delle Carità di Nevers stanno passando una crisi vocazionale e nel convento ci sono pochissime suore e qualche novizia. Nel 1970 fu ristrutturato il convento e gli venne dato il nome di “Espace Bernadette”. Adesso è aperto ai visitatori, ai gruppi e ai pellegrini in generale.

Su questo luogo non c’è molto da dire. Il silenzio che avvolge il tutto parla da solo. Solamente una preghiera sale spontanea dal cuore: Santa Bernadette prega per me, prega per noi…

 

Lourdes, l’abbraccio di Maria

lourdes

“Io sono l’Immacolata Concezione” con queste parole la piccola Bernadette di soli 12 anni, quasi del tutto analfabeta, si presentò alla porta del parroco l’abate Peyramale di una piccola e quasi insignificante cittadina ai piedi dei Pirenei il 25 marzo del 1858: Lourdes.

Immaginatevi lo stupore del parroco a quelle parole dette da Bernadette, chi gliele ha dette? come fa una ragazzina che neppure sapeva scrivere ad aver  pronunciato una verità teologica così profonda, un dogma di fede che solo il Papa 4 anni prima aveva dichiarato? Oggi diremmo internet, la stampa, la televisione, i mass –media. Ma a quel tempo non c’era neppure il telefono, scoperto solo nel 1871. Ma allora a Bernadette chi aveva rivelato ciò se non la diretta interessata e cioè Maria? Ma chi è “Quella là” che chiede penitenza, penitenza, penitenza?  E perché chiede processioni? e perché dice ai preti di costruirle una cappella? Quante domande si poneva il povero abate…

Ma allora alla grotta di Massabielle quel giorno dell’ 11 febbraio del 1858 veramente la Madre di Dio è scesa sulla terra?  Si, era tutto vero, quel giorno si sono aperte le porte del cielo e Maria è scesa sulla terra, scegliendo un’ignorante analfabeta per compiere la sua missione!!

E’ da poco passato l’illuminismo e il periodo della restaurazione è ai suoi albori. In tutta Europa e in particolar modo in Francia si erano creati dei moti rivoluzionari e si stavano affermando le nuove idee di libertà e nazionalità. In questo periodo sorsero Il liberismo e il socialismo, l’autoritarismo e il liberalismo, il nazionalismo e il radicalismo, tutti movimenti che nulla avevano a che fare con la fede religiosa. Quell’inverno per Lourdes fu particolarmente difficile: carestia, disoccupazione, epidemie avevano fatto le loro vittime. Anche la famiglia di Bernadette, i Soubirous, da mugnai benestanti si ritrovarono ben presto a dover dormire in una ex prigione (Cachot), dico ex prigione, perché era talmente malsana l’aria di questo luogo che il carcere con i detenuti era stato spostato altrove.

Sono passati ormai oltre 150 anni da quel giorno e di cose a Lourdes ne sono cambiate molte. Si sono costruiti alberghi, (oggi è  dopo Parigi è la città di Francia con il più alto numero di alloggi), negozi, ecc…

Ma lo spirito che si respira a Lourdes è sempre lo stesso.

Quando si arriva, dalla strada principale non sono visibili né la Grotta, né le basiliche perché si trovano ad un livello stradale più basso. Ma quando si varca il cancello principale eccole finalmente: la basilica del Rosario, la più bassa, sovrastata dalla basilica superiore e a sua volta sovrastata dalla cripta. Dall’alto due rampe scendono fino al piazzale principale e con un abbraccio accolgono tutti i pellegrini. A me piace pensare che siano le braccia di Maria stessa che ti stringono in un abbraccio materno.abbraccio

Quando sei a Lourdes all’interno del recinto, non pensi più a nulla.

Sei solo tu con la tua Mamma celeste, che è sempre pronta a raccogliere le tue richieste, le tue tristezze, le tue povertà, le tue infermità. Lei è li che ti aspetta alla Grotta e come solo una madre sa fare ti ascolta, ti conforta e teneramente ti abbraccia con quella tenerezza che ha solo una madre ha.

I malati, parte importante di questo luogo sono le persone predilette da Maria e quando vedi bambini, giovani, vecchi in carrozzella o in lettiga, anche se sei consapevole che per molti di loro Lourdes rappresenta “l’ultima spiaggia” non sei sovrastato dalla pietà perché nei loro sguardi vedi il miracolo della pace e della serenità.

Una volta, parlando con un santo sacerdote, gli dissi che stavo per partire per Lourdes e dato che si trovava molto malato, gli annunciai che avrei pregato per lui. Ma egli di rimando mi disse che pregassi non per lui ma perché riuscissi a capire la sua sofferenza. E’ vero a Lourdes ti si apre il cuore e comprendi che la sofferenza di questi malati è a riscatto anche dei miei peccati.

La giornata del pellegrino, inizia con la S. Messa alla Grotta la mattina presto, quindi c’è tempo per bagnarsi alle piscine(che sono poi delle vasche in pietra) dove scorre l’acqua della fonte che la Vergine fece scavare a S. Bernadette, poi  la via Crucis con statue di bronzo, a seguire la processione del Santissimo e la benedizione degli ammalati e a sera la processione con le fiaccole. La giornata molto spesso si chiude con un ultimo rosario recitato sulle rive del Gave, il fiume che lambisce la S. Grotta.

Generalmente un pellegrinaggio dura circa 4-5 giorni, ma quando si parte per il viaggio di ritorno, facendo l’ultimo saluto alla Madonna, la felicità che porti dentro ti segue tutto l’anno.

Chi si ferma è perduto….o è preso a sassate!

Erano le 4 a Medjugorje, e quella si preannunciava essere una bella mattinata d’agosto.
Era fresco, forse uno degli unici momenti freschi della giornata, e con una buona parte del gruppo decidemmo di salire il Krizevac, il monte che sovrasta la cittadina.
medj2Con allegria e spensieratezza iniziammo il percorso quando, bloccato alla prima stazione della Via Crucis, vedemmo un gruppo che all’apparenza sembrava come il nostro.
Si erano forse persi? Stavano aspettando qualcuno? Si era creata una coda per la troppa gente?
No, tre dei loro componenti erano in preda ad una possessione demoniaca.
Urla, grida, bestemmie…
Vi dirò, lo spettacolo non fu affatto piacevole, e appena potemmo cogliere l’occasione, “sorpassammo lestamente” quel gruppo.
Ad essere sincero, e qui posso dirlo, scappammo a gambe levate.
Da giovane ero solito scalare, ma mai nella mia vita ricordo di essere riuscito a salire un monte così velocemente come quella volta.

Non potevo sapere che il peggio doveva ancora venire.

La sera dopo cena decidemmo di andare a fare un Rosario alla croce blu, e ancora oggi mi chiedo come fosse possibile aver scelto la peggior alternativa tra tutte.
Perché alla fine, decidere di passare dalla strada più volte battuta e ormai conosciuta non ha alcun senso, quando puoi perderti tra i campi di Medjugorje, no?
Con animo gioioso e armati di torcia, passammo quindi per i campi, ridendo e scherzando accompagnati da una piacevole brezza estiva.
Ecco però un grido provenire dalla parte finale del gruppo: “Pierluigi, mi hanno colpito con un sasso!” urlarono.
Lì per lì non ci diedi troppo peso, in fin dei conti poteva essere stato uno di noi ad averlo involontariamente sollevato con un piede.
Li esortai a continuare a camminare perché “lì in fondo c’era sicuramente la croce blu”.
Ad un certo punto mi fermai, avevo tre strade davanti…dove andare? Ci eravamo persi?
Iniziammo a discutere tra di noi, quando una pioggia di sassi inizio a colpirci: chi alle gambe, chi alla schiena e chi sulle braccia.
Immaginate la scena. Una decina di persone nel buio più completo, nei campi più sperduti, che venivano colpiti ripetutamente da sassi provenienti da chissà dove.

“E’ il diavolo!”, urlò qualcuno.

Ci guardammo per una frazione di secondo, per poi iniziare a correre come se non ci fosse un domani, spaventati ed agitati.

Due volte nella stessa giornata, era un record.

Quella sera finimmo tutti al un bar, era l’unica possibilità per riprenderci da un’esperienza così traumatica. Solo a mattina venimmo a sapere che erano stati dei ragazzi, nascosti tra i vigneti, a lanciarci quei piccoli sassi.

E voi, come vi saresti comportati?