LA CHIESETTA SUL LAGO

 

 

 

Dal titolo, sembrerebbe quasi un romanzo rosa, uno di quei racconti dove si parla di amore e, in effetti, oggi è proprio di amore che vorrei parlarvi. In particolare di un lago, di una chiesetta, dell’Amore e della pace che lì si respirano.

Per arrivarci, si scende dalle colline di Nazareth verso il lago di Tiberiade o mare di Genezareth o mar di Galilea, dove si attraversa un tratto di montagna. A circa metà strada tra le rocce, un cartello indica “meno duecento metri sotto il livello del mare”. È strano, direte voi, come possiamo essere in montagna e allo stesso tempo sotto il livello del mare? È incredibile, ma siamo sul lago di Tiberiade.

Questo lago di acqua salata, (da qui l’appellativo di Mare) occupa una depressione creatasi sulla crosta terreste. Davanti a noi, dalla parte opposta le alture del Golan ed oltre ancora la Siria. Costeggiamo con il pullman lo specchio d’acqua fino a raggiungere un parcheggio non molto grande, e da lì ci inoltriamo in un lussureggiante giardino coltivato con piante ad alto fusto ma, ahimè, la mia scarsa conoscenza in botanica, mi porta a riconoscere solo alcune delle innumerevoli specie che vi sono piantate: l’eucalipto, una magnolia, dei pini.

Sulla destra, dei gazebo al cui interno sono state collocati degli altari realizzati con delle vecchie macine di mulino. Ma ecco in fondo alla discesa il lago e prima ancora sulla sinistra una piccola chiesetta.

La costruzione è in pietra viva.

Si entra e un altare è posto sopra una roccia che spicca dal pavimento. Su questa roccia un cartello con una scritta in latino “Mensa Christi”. In questa chiesetta, detta anche del Primato di Pietro, si ricorda il brano narrato nel Vangelo di Giovanni, in cui Gesù come un fantasma dopo la resurrezione, camminando sulle acque apparve ai discepoli e dove dopo aver mangiato con loro del pesce, cotto sopra una roccia, chiese a Pietro a più riprese: “Pietro mi ami tu?”. E Pietro ha la risposta pronta, quasi stizzita: “Signore tu lo sai che ti amo…”

Non c’è nessun avallo scientifico che il luogo fosse veramente questo, ma certamente lo spirito che aleggia porta a credere e a ripensare alla nostra fede nell’amore di Cristo. Gesù ci parla, ci consola, condivide con noi le gioie e le nostre paure, mangia con noi, rimane in mezzo a noi e anche a noi, anche a me chiede “ma tu mi ami come io amo te?” E a quel punto ti rimane solo una cosa da fare: rispondere in piena e convinta sincerità e chiedere perdono per tutte quelle volte che lo abbiamo tradito, offeso, rinnegato.

Le lacrime iniziano a rigarmi il volto e sento il Suo perdono.

Se qualcuno mi chiedesse quale luogo della Terra Santa mi ha colpito maggiormente, non avrei alcun dubbio: la Chiesa del Primato.

 

 

NAZARETH (2a puntata)

 

annunciazione E’ notte quando arrivo in hotel, un buon 4 stelle situato nella prima periferia della cittadina chiamata Nazareth Illit; è in posizione panoramica rispetto alla città vecchia, e la finestra della mia camera ha una vista stupenda sul centro abitato. Centinaia di luci illuminano la città quasi fosse un Presepe, ma tra tutte se ne scorge una molto più luminosa, un faro che fende il buio della notte nella Galilea. Non so bene cosa sia, ma immagino che dovrebbe essere la meta principale della visita di Nazareth: la Basilica dell’Annunciazione.

La mattina dopo, il pullman dall’hotel ci porta verso via Ha Galil, dove è situata la Fontana della Vergine.

Mentre le colline di Nazareth ci accompagnano lungo il breve  tragitto, scorgiamo tutte quelle abitazioni ormai in disuso costruite dentro le grotte e prive di pozzi d’acqua.
Un tempo l’unico luogo possibile dove reperire acqua potabile era infatti una sorgente in fondo al paese dove, secondo la tradizione, Maria ebbe la prima apparizione dell’Angelo. Oggi questa sorgente è conservata in una piccola chiesa ortodossa. Diversi sono i pellegrini che entrano e bevono quell’acqua che sembra possedere capacità miracolose.

E’ il primo contatto “fisico”, intendo di persona con i luoghi, le strade, le pietre, dove i piedi di Maria, di Gesù e degli Apostoli, hanno calpestato, la fonte dell’acqua da cui hanno attinto, per bere, per lavarsi.Il  Vangelo comincia ad assumere una forma tridimensionale, non più parole, non solo parole, ma adesso davanti ai miei occhi anche oggetti, paesaggi, costruzioni, una fisicità, una realtà che prima non percepivo. Certo ci sono anche i films, le ricostruzioni, ben fatte, ma spesso nei titoli di coda leggiamo che le scene sono state girate in Marocco o in Tunisia.  I films ci emozionano, ma percepiamo in essi una sfumatura di “falso”, di bello-si-ma-non-originale, che lascia un dubbio, un’insoddisfazione. Qui  tutto è autentico, certo con la modernità che si è accumulata intorno e che “assedia” i luoghi sacri e antichi, per cui sarebbe impossibile girare i films in questi luoghi, ma essere qui, di persona rende,  restituisce appieno quella sensazione, quell’ emozione, quel “vedere” il Vangelo che non abbandonerà più il pellegrino, una volta tornato a casa, alla routine, alla cultura di appartenenza, perché  in questa terra si respira anche la cultura dei popoli che  abitavano allora, e che ancora le abitano.

Ci incamminiamo verso la via Paulus Ha – Shishi e ci fermiamo in una piazzetta dove un venditore ci regala per un euro una meravigliosa spremuta di melograno, dissetandoci così dal caldo di quella mattina.

La Basilica dell’Annunciazione è poco più avanti, e la sua mole imponente sovrasta la piccola moschea bianca che si affaccia sulla piazzetta. I mussulmani, non potendo costruire una moschea più alta della Basilica, hanno affisso uno striscione in bella vista che recita: “Chiunque cerchi una religione diversa dall’Islam, non sarà mai accettato da Lui e nell’altra vita sarà perduto per sempre”.

Ci lasciamo alle spalle la moschea, e iniziammo a salire la stretta stradina che ci avrebbe portato alla Basilica. Attorno a noi bancarelle e negozi riempiono la strada spandendo nell’aria un profumo di spezie e di carne abbrustolita che ci accompagna lungo tutto il percorso. Finalmente entriamo nel recinto della Basilica e da vicino si nota meglio la costruzione detta “a capanna”,  con un motivo traforato di coronamento e al centro una statua in bronzo di Gesù. Sulla facciata, tra le fasce di pietra bianca e rosa in cui è suddivisa, spiccano queste parole: “Angelus Domini Nuntiavit Maria” e più in basso “Verbum Caro Factum est et habitavit in nobis”. E’ una chiesa moderna in cemento armato, ricostruita sulle antiche rovine di una chiesa crociata, caratterizzata dalla cupola a tronco di cono rovesciato. Una lanterna sovrasta la Basilica la cui luce è visibile a chilometri di distanza, mentre sopra di essa una croce svetta nel cielo. Con i suoi 60 metri di altezza è il monumento più grande del suo genere in tutto il Medio Oriente.

Tutt’intorno al muro di cinta ci sono dei mosaici raffiguranti Maria ognuno donato da  una nazione diversa. Si entra e subito colpisce la vastità della chiesa, ma lo sguardo vaga e cerca quello che fu il luogo dell’Annunciazione, a sinistra dell’altare maggiore, sotto il presbiterio. Si scendono alcuni gradini e ci si trova di fronte ad un cancelletto che chiude l’accesso ad una grotta. Alcuni fari illuminano il piccolo altare, ma è quella interiore la luce più forte che quel luogo riesce a donare.

Fuori dalla Basilica si possono ammirare degli scavi archeologici, alcuni reperti molto importanti sono oggi conservati nel museo situato nell’antico palazzo vescovile, nella zona nord del complesso. Tra questi vi troviamo un’incisione in caratteri greci che dice “XE MAPYA”, ovvero “Rallegrati Maria”. Ad oggi questa è la più antica invocazione alla Vergine Maria ritrovata all’interno della Grotta insieme ad altre incisioni in lingue antiche. Questo fa capire quanto questo luogo sia stato venerato nei secoli da parte di pellegrini di ogni lingua. Tutto in questo luogo parla di Maria, e di Giuseppe il suo silenzioso sposo. Anche i dintorni parlano della Sacra Famiglia ad iniziare dalla ricca Sepphoris o Zippori, distante solo 6 km da Nazareth.

Ma adesso è tempo di incamminarci dietro Gesù, Cana di Galilea ci aspetta.

 

Terra Santa: prima puntata – L’ARRIVO

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Oggi,vorrei raccontarvi di Israele, ma talmente tante sono le cose da dire che percorreremo insieme questo viaggio in più “puntate”. Iniziamo  con Tel Aviv.

Dopo mesi di attesa per organizzare il viaggio e raccogliere le iscrizioni, finalmente si parte da Milano Malpensa con destinazione…. Israele!!! Ogni volta che prendo l’aereo, scelgo sempre un posto al finestrino perché dall’alto cerco di capire nelle giornate terse da nubi ed aiutato dai contorni del territorio, dalla forma di un lago o talvolta dal profilo di una costa,  che cosa l’aereo stia sorvolando. Riconosco bene il Po, il lago di Bolsena, poi forse la costa della Puglia, quell’isola fatta come una C rovesciata potrebbe essere Santorini e poi…mare, mare, mare.

Ecco però che si intravede dalla foschia una striscia di terra e la hostess annuncia che il pilota sta facendo le operazioni di avvicinamento. E’ la costa di Israele, della Terra Santa, della terra promessa ed improvvisamente non vedi l’ora di arrivare, ti batte il cuore e pensi “ecco la terra che fu dei patriarchi, di Abramo, di Giacobbe, dei profeti, di Gesù, di  Giuseppe…di Maria”.

Dopo un largo giro verso est, credo per evitare il passaggio sopra la striscia di Gaza, l’aereo sorvola a bassa quota Tel Aviv, per atterrare nel nuovo aereoporto intitolato a Ben Gurion, padre fondatore dello stato di Israele.

Si esce dall’aereo con il “finger” ed un lungo ed ampio corridoio con enormi vetrate porta i passeggeri di tutti i voli in arrivo al controllo passaporti eseguito da inespressivi funzionari che ti chiedono la durata della permanenza ed i luoghi che intendi vistare in Israele. Un timbro su un foglietto di carta (oggi non viene più messo il timbro sul passaporto) e si entra nel salone dove vengono consegnati i bagagli.

Una ragazza si avvicina, è l’assistente dell’aeroporto che ha il compito di accompagnarci fuori e presentarci alla nostra guida. E’ così che  incontro e conosco Joseph, un palestinese cristiano, archeologo,la nostra guida  per tutta la durata del viaggio. Saliamo sul pullman e si parte per Nazareth.

L’impatto con la città di Tel Aviv è molto forte: una città moderna, con grandi grattacieli, spesso sedi di banche, e questi enormi cartelli pubblicitari che ci sovrastano e ci invitano allo shopping in eleganti centri commerciali, mentre a nord sul mare, una spiaggia dorata le fa da corona e sulle strade…traffico, traffico, tanto traffico.

Una domanda mi sorge subito spontanea: sono forse a Miami? Ma no, ecco che mi si apre davanti il paesaggio tipico del Medio Oriente: le sue case basse, bianche e con il tetto piatto sul quale si stagliano contro il cielo delle cisterne nere, probabilmente delle riserve di acqua, il tutto immerso in una foresta di antenne e parabole per la ricezione di programmi tv. Ogni tanto dei minareti spuntano qua e là in zone mussulmane del paese, illuminati di notte da una luce verde.

Ma ecco la piana di Megido lungo l’antica via Maris, la via del mare, lunghissima ed antica strada di cominicazione che dalla Mespopotamia, conduceva le carovaniere ai porti di Cesarea Marittima e Jaffa, e quindi in Egitto. Ed è qui nella piana di Megido, o Tel Megido in arabo che secondo l’Apocalisse si dovrà combattere la battaglia finale (l’Armageddon) tra Gesù e Satana alla fine dei tempi. Più avanti, Cesarea Marittima fondata da Erode il Grande tra il 25 e il 13 avanti Cristo. Ci si ferma per visitare i resti di un antico acquedotto romano, l’unico che sia stato costruito sulla spiaggia, poi si riprende il cammino, ma ormai è sera e in lontananza si scorge il profilo di una montagna: il monte del “precipizio”, narrato nel Vangelo di Luca, dove i concittadini di Gesù, increduli per quanto aveva loro comunicato e cioè di essere il Messia, lo condussero per ucciderlo ma egli passando tra la folla riuscì a sfuggire.

Ma ormai siamo in Galilea, ormai siamo a Nazareth!

Nevers, una semplice bellezza

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A circa 250 km da Parigi nella regione della Borgogna, bagnata dalle acque della Loira sorge la cittadina di Nevers. Il paesaggio è quello di una tipica cittadina della campagna francese: le case con i tetti mansardati ricoperti di ardesia e tutt’attorno questi colori smorzati da un vissuto e da un intenso passato storico.

Ma perché parlo di questa cittadina? C’è forse un santuario sconosciuto ai più? Ebbene no non c’è alcun santuario rinomato ma in questo borgo nel 1866 varcava la soglia del convento delle suore della Carità sulla collina di Saint Gildard una ragazza di nome Marie Bernarde conosciuta da tutti come Bernadette: la veggente di Lourdes.

Bernadette a 22 anni entra nel convento delle suore, e lì morirà all’età di 35 anni dopo una lunga malattia. Venne sepolta nel giardino del convento e dopo 30 anni fu riesumata. Ma lo stupore dei medici che fecero la ricognizione del corpo fu tanta quando si accorsero che era incorrotto. Furono fatte molte analisi ma la pelle era ed è, ancora oggi, elastica e gli organi interni completamente intatti. Venne messa allora in un sarcofago di cristallo dove tutt’oggi è esposta alla venerazione dei pellegrini.

Fu canonizzata nel 1933 sotto il pontificato di Pio XI, non tanto perché Bernadette ha avuto il privilegio di vedere la Madonna, piuttosto per la semplicità con cui ha condotto la sua vita. Lei stessa era solita ripetere: “E’ perché ero la più povera ed ignorante che la Vergine mi ha scelta”.

Quando la vedi, rimani senza parole ed è impossibile non commuoversi di fronte a tanta bellezza! La prima volta che l’ho vista è stato sconvolgente: avevo davanti il volto di una giovane suora addormentata con le mani giunte. Tante furono le emozioni che mi sconvolsero ma più di tutte la pace e la serenità che mi invasero appena posai gli occhi su quel volto.

Oggi le sorelle delle Carità di Nevers stanno passando una crisi vocazionale e nel convento ci sono pochissime suore e qualche novizia. Nel 1970 fu ristrutturato il convento e gli venne dato il nome di “Espace Bernadette”. Adesso è aperto ai visitatori, ai gruppi e ai pellegrini in generale.

Su questo luogo non c’è molto da dire. Il silenzio che avvolge il tutto parla da solo. Solamente una preghiera sale spontanea dal cuore: Santa Bernadette prega per me, prega per noi…

 

Lourdes, l’abbraccio di Maria

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“Io sono l’Immacolata Concezione” con queste parole la piccola Bernadette di soli 12 anni, quasi del tutto analfabeta, si presentò alla porta del parroco l’abate Peyramale di una piccola e quasi insignificante cittadina ai piedi dei Pirenei il 25 marzo del 1858: Lourdes.

Immaginatevi lo stupore del parroco a quelle parole dette da Bernadette, chi gliele ha dette? come fa una ragazzina che neppure sapeva scrivere ad aver  pronunciato una verità teologica così profonda, un dogma di fede che solo il Papa 4 anni prima aveva dichiarato? Oggi diremmo internet, la stampa, la televisione, i mass –media. Ma a quel tempo non c’era neppure il telefono, scoperto solo nel 1871. Ma allora a Bernadette chi aveva rivelato ciò se non la diretta interessata e cioè Maria? Ma chi è “Quella là” che chiede penitenza, penitenza, penitenza?  E perché chiede processioni? e perché dice ai preti di costruirle una cappella? Quante domande si poneva il povero abate…

Ma allora alla grotta di Massabielle quel giorno dell’ 11 febbraio del 1858 veramente la Madre di Dio è scesa sulla terra?  Si, era tutto vero, quel giorno si sono aperte le porte del cielo e Maria è scesa sulla terra, scegliendo un’ignorante analfabeta per compiere la sua missione!!

E’ da poco passato l’illuminismo e il periodo della restaurazione è ai suoi albori. In tutta Europa e in particolar modo in Francia si erano creati dei moti rivoluzionari e si stavano affermando le nuove idee di libertà e nazionalità. In questo periodo sorsero Il liberismo e il socialismo, l’autoritarismo e il liberalismo, il nazionalismo e il radicalismo, tutti movimenti che nulla avevano a che fare con la fede religiosa. Quell’inverno per Lourdes fu particolarmente difficile: carestia, disoccupazione, epidemie avevano fatto le loro vittime. Anche la famiglia di Bernadette, i Soubirous, da mugnai benestanti si ritrovarono ben presto a dover dormire in una ex prigione (Cachot), dico ex prigione, perché era talmente malsana l’aria di questo luogo che il carcere con i detenuti era stato spostato altrove.

Sono passati ormai oltre 150 anni da quel giorno e di cose a Lourdes ne sono cambiate molte. Si sono costruiti alberghi, (oggi è  dopo Parigi è la città di Francia con il più alto numero di alloggi), negozi, ecc…

Ma lo spirito che si respira a Lourdes è sempre lo stesso.

Quando si arriva, dalla strada principale non sono visibili né la Grotta, né le basiliche perché si trovano ad un livello stradale più basso. Ma quando si varca il cancello principale eccole finalmente: la basilica del Rosario, la più bassa, sovrastata dalla basilica superiore e a sua volta sovrastata dalla cripta. Dall’alto due rampe scendono fino al piazzale principale e con un abbraccio accolgono tutti i pellegrini. A me piace pensare che siano le braccia di Maria stessa che ti stringono in un abbraccio materno.abbraccio

Quando sei a Lourdes all’interno del recinto, non pensi più a nulla.

Sei solo tu con la tua Mamma celeste, che è sempre pronta a raccogliere le tue richieste, le tue tristezze, le tue povertà, le tue infermità. Lei è li che ti aspetta alla Grotta e come solo una madre sa fare ti ascolta, ti conforta e teneramente ti abbraccia con quella tenerezza che ha solo una madre ha.

I malati, parte importante di questo luogo sono le persone predilette da Maria e quando vedi bambini, giovani, vecchi in carrozzella o in lettiga, anche se sei consapevole che per molti di loro Lourdes rappresenta “l’ultima spiaggia” non sei sovrastato dalla pietà perché nei loro sguardi vedi il miracolo della pace e della serenità.

Una volta, parlando con un santo sacerdote, gli dissi che stavo per partire per Lourdes e dato che si trovava molto malato, gli annunciai che avrei pregato per lui. Ma egli di rimando mi disse che pregassi non per lui ma perché riuscissi a capire la sua sofferenza. E’ vero a Lourdes ti si apre il cuore e comprendi che la sofferenza di questi malati è a riscatto anche dei miei peccati.

La giornata del pellegrino, inizia con la S. Messa alla Grotta la mattina presto, quindi c’è tempo per bagnarsi alle piscine(che sono poi delle vasche in pietra) dove scorre l’acqua della fonte che la Vergine fece scavare a S. Bernadette, poi  la via Crucis con statue di bronzo, a seguire la processione del Santissimo e la benedizione degli ammalati e a sera la processione con le fiaccole. La giornata molto spesso si chiude con un ultimo rosario recitato sulle rive del Gave, il fiume che lambisce la S. Grotta.

Generalmente un pellegrinaggio dura circa 4-5 giorni, ma quando si parte per il viaggio di ritorno, facendo l’ultimo saluto alla Madonna, la felicità che porti dentro ti segue tutto l’anno.

Chi si ferma è perduto….o è preso a sassate!

Erano le 4 a Medjugorje, e quella si preannunciava essere una bella mattinata d’agosto.
Era fresco, forse uno degli unici momenti freschi della giornata, e con una buona parte del gruppo decidemmo di salire il Krizevac, il monte che sovrasta la cittadina.
medj2Con allegria e spensieratezza iniziammo il percorso quando, bloccato alla prima stazione della Via Crucis, vedemmo un gruppo che all’apparenza sembrava come il nostro.
Si erano forse persi? Stavano aspettando qualcuno? Si era creata una coda per la troppa gente?
No, tre dei loro componenti erano in preda ad una possessione demoniaca.
Urla, grida, bestemmie…
Vi dirò, lo spettacolo non fu affatto piacevole, e appena potemmo cogliere l’occasione, “sorpassammo lestamente” quel gruppo.
Ad essere sincero, e qui posso dirlo, scappammo a gambe levate.
Da giovane ero solito scalare, ma mai nella mia vita ricordo di essere riuscito a salire un monte così velocemente come quella volta.

Non potevo sapere che il peggio doveva ancora venire.

La sera dopo cena decidemmo di andare a fare un Rosario alla croce blu, e ancora oggi mi chiedo come fosse possibile aver scelto la peggior alternativa tra tutte.
Perché alla fine, decidere di passare dalla strada più volte battuta e ormai conosciuta non ha alcun senso, quando puoi perderti tra i campi di Medjugorje, no?
Con animo gioioso e armati di torcia, passammo quindi per i campi, ridendo e scherzando accompagnati da una piacevole brezza estiva.
Ecco però un grido provenire dalla parte finale del gruppo: “Pierluigi, mi hanno colpito con un sasso!” urlarono.
Lì per lì non ci diedi troppo peso, in fin dei conti poteva essere stato uno di noi ad averlo involontariamente sollevato con un piede.
Li esortai a continuare a camminare perché “lì in fondo c’era sicuramente la croce blu”.
Ad un certo punto mi fermai, avevo tre strade davanti…dove andare? Ci eravamo persi?
Iniziammo a discutere tra di noi, quando una pioggia di sassi inizio a colpirci: chi alle gambe, chi alla schiena e chi sulle braccia.
Immaginate la scena. Una decina di persone nel buio più completo, nei campi più sperduti, che venivano colpiti ripetutamente da sassi provenienti da chissà dove.

“E’ il diavolo!”, urlò qualcuno.

Ci guardammo per una frazione di secondo, per poi iniziare a correre come se non ci fosse un domani, spaventati ed agitati.

Due volte nella stessa giornata, era un record.

Quella sera finimmo tutti al un bar, era l’unica possibilità per riprenderci da un’esperienza così traumatica. Solo a mattina venimmo a sapere che erano stati dei ragazzi, nascosti tra i vigneti, a lanciarci quei piccoli sassi.

E voi, come vi saresti comportati?

Fatima, la luce sul mondo.

13 maggio del 1917. Era la domenica precedente l’Ascensione e tre piccoli pastori di 10, 9 e 7 anni dopo aver partecipato alla S. Messa, andarono a pascolare il gregge in una radura chiamata “Cova de Iria”. Era una grande radura di terra disconnessa con qualche piccolo leccio. Fu su uno di quei lecci che, dopo un lampo improvvmadonna fatimaiso, apparve una signora rivestita di luce. I ragazzi ne ebbero timore ma la bella signora disse: “non abbiate paura, sono del cielo”.

A Fatima, tutto iniziò così.

A Lucia, Giacinta e Francesco la Vergine apparve ogni 13 del mese da Maggio ad Ottobre, chiedendo ai ragazzini penitenza per i “poveri peccatori” e lasciando loro tre segreti.

Oggi Fatima conta circa 12 mila anime ed è un paesino ubicato nel comune di Ourem nel cuore del Portogallo. Non esistono nè ferrovia né tantomeno un aeroporto. Vi starete chiedendo come si arriva in questa piccola oasi sperduta della valle portoghese. Ebbene, la cittadina dista solo 120 kilometri da Lisbona percorribili tramite pullman di linea. Il percorso, a differenza di quello che porta a Medjugorje, è lineare. Appena usciti dall’autostrada, ci accolgono loro Lucia, Giacinta e Francesco che, come delle guide, ci indicano il cammino.

Ed ecco Fatima!

Si apre subito davanti ai nostri occhi la Cova de Iria: quello che al tempo delle apparizioni era una pietraia disconnessa, oggi è una grande piazza in cui svetta nella parte alta la Basilica. A sinistra del piazzale la Cappellina delle Apparizioni: una minuscola cappella avvolta in una struttura di vetro che racchiude la statua della Vergine.

Certamente oggi Fatima si presenta al pellegrino in una veste ben diversa da come era al tempo dei pastorelli: moderni alberghi e negozi, che in maniera molto discreta, fanno da contrappunto alla spianata di Cova de Iria.Ma se qualcuno volesse rendersi conto di come fosse la zona al tempo delle apparizioni, è sufficiente percorrere il sentiero che si sviluppa dalla Rotonda Sud verso Valinos, Cabeco e Aljustrel, e perdersi tra i terreni incolti, i lecci e l’eucalipto che qua cresce rigoglioso. È qui che il pellegrino può percorrere la Via Crucis e ritrovare sé stesso.

Su Fatima sono stati scritti fiumi di inchiostro e sui segreti che la Vergine ha rivelato ai tre pastorelli si sono spese parole all’infinito; in special modo sul famoso terzo segreto.

E allora perché andare a Fatima?

Perchè è il luogo in cui si possono chiedere delle grazie, in cui il pellegrino rafforza la fede e si immerge in quella profonda e personale preghiera che solo il credente può comprende.

Ma soprattutto, perché Fatima è il luogo in cui il pellegrino si ferma e dice “Grazie”.

Medjugorje…terra di pace o di sassi?

La guerra dei Balcani era appena terminata quando mi venne chiesto di organizzare un medjpellegrinaggio a Medjugorje, con un po’ di timore, per la logistica del viaggio e per quello che avrei trovato arrivato là, decisi di viaggiare in nave da Ancona a Spalato imbarcando il bus che poi ci avrebbe portato attraverso i monti a destinazione.
La traversata, di notte, in comode cabine, quella per l’accompagnatore, la migliore ovviamente, direttamente posizionata sopra i motori, mi vide insonne e trepidante, ansia? Paura? Viaggio verso l’ignoto? No, i motori a tratti asmatici, a tratti martellanti sconquassavano la cabina facendo cigolare i mobili e impedendo il sonno….ma alla mattina ecco Spalato….bella, vacanziera con le palme (che fanno sempre croisette..), nobildonna con il palazzo (di Diocleziano…293 D.C.), imponente e, dietro nelle viuzze tutto il resto di un’architettura che racconta dei popoli che via via hanno dominato l’Adriatico…ma la nostra meta era Medgiugorje…
Si fa dogana e poi via per strade di montagna, piccoli paesi con le case mitragliate (Io sono nato negli anni ’50, non le avevo mai viste….) il filo bianco e rosso a delimitare i campi, ma non erano i soliti lavori stradali interminabili all’italiana…erano le “recinzioni” dei campi minati…piccole chiese aperte come carciofi da qualche bomba, minareti mozzati…. Ma più sconvolgenti di tutto… i volti delle persone, ancora attoniti, sopravvissuti a una guerra assurda, osservavano questi dell’occidente che dopo aver combattuto in qualche modo nella loro guerra, adesso si fiondavano a frotte con i bus, i preti e i rosari per andare dove? Verso un paese neppure segnato sulle carte stradali, chissà cosa pensavano di noi…
In questo contesto, curva dopo curva, sasso dopo sasso ecco Medjugorje. Dovete sapere che in bosniaco il termine “Medjugorje” significa “paese tra i monti”, e una volta lì capii subito il perché i suoi abitanti la chiamavano così: montagne, montagne ovunque.
La prima cosa che mi saltò all’occhio dopo l’ultima curva fu la chiesa di San Giacomo o Santuario della Regina della Pace. Una chiesa troppo grande per il numero di abitanti, ma troppo piccola per la quantità di pellegrini che da ogni parte della terra accorrono in questo luogo alla ricerca della pace. E tutt’intorno? Beh, a parte qualche casa e qualche pensione tutto ciò che si notava era la distesa enorme di sassi. Sassi, sassi, solo sassi.
Ma cominciamo il nostro viaggio, partiamo dal Podboro o collina delle apparizioni. All’apparenza è un’enorme pietraia la cui salita è resa difficile dalle pietre lisce ed instabili; qua e là, lungo la salita, notiamo delle formelle di bronzo raffiguranti i misteri del rosario. Sulla cima la statua di marmo della Vergine Maria indica il punto in cui i 6 veggenti vedevano regolarmente la Madonna. Poco sotto, dall’altro versante del monte, troviamo una croce blu anch’essa simbolo delle apparizioni.
Per finire il Krizevac, sulla cui sommità nel 1933 venne posizionata una croce per ricordare i 1900 anni dalla crocifissione. Lungo il percorso sono state posizionate le stazioni della via crucis.

Questa è Medjugorje, come potete immaginare è un paesino modesto. Ma quello che colpisce il pellegrino, dopo quell’ultima ed estenuante curva, è la grande fede e la pace che sprigiona questa cittadina. Qui un fedele cura lo spirito, il cuore ritrova Dio e l’uomo ritrova la sua dimensione e il suo valore nel mondo. Qui, la presenza di Maria si sente ed palpabile in ogni cosa.
A Medjugorje vai se sei chiamato e quando torni a casa non vedi l’ora di poterci tornare.

E’ la mia (prima) volta?

 

Oggi voglio raccontarvi il primo pellegrinaggio a cui partecipai.

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Avevo circa 7/8 anni ed ero, come tanti altri, un giovane e spensierato chierichetto.

Al termine della stagione estiva e prima dell’inizio della scuola, che in quegli anni iniziava il 1° di ottobre, la parrocchia organizzò un pellegrinaggio a San Pellegrino in Alpe. Per noi ragazzi, fu la parrocchia ad offrire il viaggio con il pranzo “al sacco” portato da casa.

Si partì la mattina presto dalla piazza principale di Marina di Massa con una corriera (credetemi quando vi dico che quello non si poteva chiamare pullman), e come spesso succedeva, dato che le prenotazioni erano superiori alla capacità dei posti disponibili, essi venivano aumentati con l’aggiunta dei famigerati “strapuntini”. Chi è della mia generazione sicuramente saprà cosa intendo con “strapuntini”, per chi invece non lo sapesse erano una sorta di strisce di cuoio che venivano agganciate tra i sedili esistenti, occupando di fatto lo spazio del corridoio centrale.

A noi ragazzi erano destinati i posti in fondo e quella mattina dopo aver agganciato gli strapuntini ed averci “imprigionato” nell’ultima fila si partì…….

All’inizio tutto andò per il verso giusto, ma quando dopo un po’ iniziarono le curve della montagna (neanche sapevamo dove fosse San Pellegrino in Alpe) iniziarono i problemi.

I miei amici di viaggio iniziarono a vomitare chi a destra chi a sinistra, il caldo si faceva sentire e le persone iniziarono a sudare; l’aria condizionata ancora non c’era  e l’unica presa d’aria era data da una semifinestra apribile a vasistas. Insomma, in quel contesto anch’io iniziai a vomitare…..….

Di quel viaggio purtroppo ho solo quel triste ricordo, neppure so come era fatta la chiesa. Mi ricordo solo di un grande prato, dove ho raccolto dei cardi (una specie di fiori di montagna, che ho scoperto in seguito essere fiori protetti) da portare a casa come souvenir.

Durante il viaggio di ritorno, l’autista decise di passare dall’Abetone perché, a suo dire, il percorso era meno tortuoso. All’Abetone si fece una sosta ed io andai a comprarmi della Xamamina per il mal d’auto, ma purtroppo anche sul viaggio di ritorno ci fu la replica dei problemi avuti sul viaggio di andata.

Questa fu la mia prima esperienza come pellegrino. Bella no?

 

 

Non è un blog di scienza…o forse sì?

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Vi starete chiedendo perché ho deciso di aprire un blog, la risposta è semplice: non lo so neanche io. Scorrevo tra le pagine Internet alla ricerca di un qualcosa che non fosse semplicemente un blog di viaggi che dispensa consigli sulle mete più gettonate della stagione. Non avendolo trovato, ho deciso, quindi, di crearne uno che raccontasse ai lettori cosa significhi vivere il pellegrinaggio. Vivere Maria.

È nato così “Il Vortice di Luce”, un blog che sarà più che altro un diario dove raccoglierò aneddoti, appunti e riflessioni sui miei viaggi alla scoperta dei santuari mariani.

Quindi, non mi resta che augurarvi buona lettura…e perchè no? Buon Viaggio!

 

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Sono Pierluigi, vivo a Massa e ho una piccola agenzia di viaggi. Lavoro nel turismo da oltre 40 anni e organizzo pellegrinaggi un po’ in tutto il mondo.